Vietato mangiareLa Pasqua e la questione del digiuno

Per i cattolici praticanti la Quaresima è anche un momento di riflessione gastronomica. Prima di ritornare alla vita attraverso piatti tipici e colombe, c’è da affrontare un periodo a stomaco vuoto, o quasi

Nella mia vita uno dei segnali dell’approssimarsi della Pasqua è rappresentato dalla dogmatica rinuncia a carne e salumi durante i pranzi e cene dei venerdì compresi tra marzo e aprile. Quando in passato mia madre tuonava, anche durante gli anni dell’università, «oggi è venerdì, non si mangia la carne!», sapevo che il momento di celebrare il Cristo risorto era sempre più vicino. Fra me e la tavola imbandita con agnello al forno, uova e colombe di Pasqua c’era solo dunque un ostacolo: la Quaresima e il digiuno – o meglio, l’astinenza – del venerdì.

Crescendo, ho provato anche a saltare almeno uno dei pasti del giorno di magro. La sensazione fisica è stata anche piacevole: ci si sente leggeri, lucidi. Poi, travolti dalla routine, con l’imprinting materno-religioso nel cuore e nello stomaco, ho conservato l’abitudine di non mangiare carne almeno per quel giorno. Considerato che ridurre il consumo di alimenti di origine animale è uno dei gesti che possiamo fare per risparmiare acqua e alleggerire la nostra impronta ecologica sul pianeta, forse bisognerebbe tornare alle antiche abitudini religiose: quelle che, secondo il volume A tavola con le religioni di Massimo Salani (Edizioni Dehoniane), potevano portare a digiunare anche per 160 giorni all’anno.

Il digiuno cattolico nella storia

Secondo Salani c’erano quattro grandi periodi di astinenza: la Quaresima, il digiuno degli apostoli (dalla Pentecoste al 28 giugno), quello dedicato alla Madonna (prima metà di agosto) e quello di Natale, praticato per quaranta giorni a partire da novembre. Durante la pratica dell’astinenza dal cibo era concesso un pasto, consumato in genere dopo il vespro, alle ore 18. In genere il digiuno veniva praticato il mercoledì e il venerdì. La scelta di questi giorni era legata a due momenti della vita di Cristo: il mercoledì si ricordava il tradimento subito da Cristo e il venerdì la sua crocifissione. Poi quest’ultimo è rimasto il solo giorno del digiuno, insieme alle vigilie delle festività e alle quaresime del tempo liturgico. È bene precisare che il digiuno religioso non si limita alle proibizioni alimentari, ma consiste anche nell’astenersi dai peccati.

Alimenti vietati e permessi

L’alimento più osteggiato dai regimi alimentari religiosi è la carne. Secondo Isidosro di Sivilia la carne degli animali invita l’uomo al peccato. «Non è che la carne sia cattiva e per tale motivo proibita, ma perché le carni provocano la lussuria: in effetti sono riscaldanti e nutrono tutti i vizi…». Lo stesso Isidoro annovera il pesce tra gli alimenti permessi perché «il Signore l’ha ammesso dopo la resurrezione». L’esclusione della carne favoriva il consumo di pane, olio e vino, simboli gastronomici importantissimi per la liturgia cristiana. Il pesce diventa il cibo per eccellenza per monaci e cristiani, insieme a formaggi e legumi, consumati nei cosiddetti giorni di magro. Lo spiega bene anche Pellegrino Artusi, che tra le ricette del Pranzo di Quaresima elenca la Zuppa nel brodo di pesce, il Baccalà montebianco con Crostini di caviale, Pesce con salsa genovese, Gnocchi alla romana, Pesce a taglio in umido, Anguilla arrosto, Pasticcini di marzapane e Gelato al pistacchio. Ma storicamente non tutti i pesci erano permessi nei periodi di astinenza dalle carni. Quelli grassi – cioè di grandi dimensioni – erano vietati. E guai a sgarrare: nei primi secoli di vita della Chiesa cristiana queste regole non ammettevano deroghe. C’erano sacerdoti che evitavano persino di guardare quarti e bistecche perché si credeva che la sola vista rendesse impuri.

Nel corso del suo pontificato tra l’858 e l’867, Papa Niccolò I emanò un atto ufficiale in cui si dichiara la piena liceità del consumo della carne, fatta eccezione per i giorni di digiuno. Questi diminuiscono: vengono circoscritti alla sola quaresima. Scriveva il pontefice: «Si possono mangiare tutte le quantità di carne se queste non sono nocive di per sé». Ma il digiuno rimase per lungo tempo anche un mezzo per espiare i propri peccati e pare che talvolta gli anni di astinenza dal cibo superassero quelli di una vita intera: in quel caso il digiuno veniva sostituito con altre sanzioni o addirittura delegato a terzi, poi ricompensati con lasciti di denaro, o riscattati a suon di quattrini. I libri penitenziali che normavano la corrispondenza tra peccati e digiuno ci dicono qualcosa sull’alimentazione del cristiano nel passato. Ci si cibava di poca carne di cavallo, mentre maiale e anguilla erano tenuti in altissima considerazione. Le norme sull’espiazione attraverso l’alimentazione vietavano il consumo di animali soffocati nelle reti o la carne di animali feriti o uccisi da altri animali.

Cosa ci dice la scienza

Oggi il digiuno non è solo un’abitudine che i cattolici e altri popoli rispettano nei tempi comandati. C’è chi ha fatto di questa pratica uno stile di vita, allenandosi a non mangiare a intermittenza. «La questione del digiuno, seppur occasionale, è una condizione dibattuta fra i professionisti della nutrizione – spiega il dottor Stefano Coratella, biologo nutrizionista – Nel nostro tempo andare ad applicare dei momenti in cui più che di digiuno vero e proprio, si fanno delle restrizioni, sembra essere benefico per il corpo perché crea una sorta di modalità “risparmio energetico” che va a innescare la detossificazione dell’organismo. In passato, aveva tutt’altro valore. Ma oggi fare dei momenti di digiuno significa concentrare nell’organismo le funzioni vitali bypassando la necessità di utilizzare energie per la digestione del cibo e non solo. Il digiuno è ritenuto una forma di detossificazione e quasi di purificazione. Ma se supera un lasso di tempo troppo lungo diventa essa stessa una intossicazione. La soglia di digiuno consigliabile per l’organismo è di 12 ore, massimo 15, in una giornata. L’acqua rimane la materia prima che deve essere garantita».