Monitorare la quantità e la tipologia dei rifiuti galleggianti per comprendere le cause dell’inquinamento marino e individuare le azioni da attivare per prevenirlo. Da fine dicembre una flotta antinquinamento del Ministero dell’Ambiente sta pattugliando le coste italiane alla ricerca del floating marine litter. Per questa attività il dicastero è affiancato dal consorzio nazionale per la raccolta, il riciclaggio e il recupero dei rifiuti di imballaggi in plastica (Corepla), partner tecnico con cui ha sottoscritto nell’estate 2020 un accordo per un progetto sperimentale di riciclo del materiale plastico recuperato in mare dalla flotta. Il consorzio dovrà verificare, misurare e analizzare le quantità e la qualità dei rifiuti e valutarne l’effettiva riciclabilità.
Nell’arco di due anni, 19 unità navali saranno dislocate nelle acque marine antistanti le foci dei fiumi e nelle aree marine protette lungo tutta la Penisola con il compito di raccogliere qualsiasi tipo di rifiuto galleggiante, che verrà portato a terra in aree autorizzate e poi immesso in appositi centri per verificare la possibilità di avviare a riciclo la quota relativa agli imballaggi in plastica. Il progetto, come spiega a Linkiesta il presidente di Corepla Giorgio Quagliuolo, è partito a fine dicembre e ancora non sono disponibili dei dati. Difficile anche fare delle previsioni visto che non ci sono state delle sperimentazioni di tali portata finora.
Partita l'operazione #MarePulito: 32 unità navali per monitorare 500.000 chilometri quadrati di mare e raccogliere il marine litter.
Avviata grazie alla collaborazione tra il @minambienteIT e Corepla, è la prima in tutta Europa e nel Mar Mediterraneo. https://t.co/EhR25X1OnB— Corepla_Riciclo (@Corepla_Riciclo) February 8, 2021
Nel periodo di durata del contratto, aggiudicato dal consorzio Castalia che raggruppa 33 aziende italiane specializzate nel settore marittimo ambientale, verranno valutate iniziative in grado di contrastare il fenomeno della plastica in mare in linea con gli impegni internazionali assunti dal Paese, come la convenzione di Barcellona e la strategia marina.
«Castalia – specifica a Linkiesta Lorenzo Barone – ha un contratto con il Ministero dell’Ambiente per 2 anni più una possibile estensione di altri 2 anni per schierare 32 unità di altura e costiere, pronte a intervenire in caso di Oil Spill. Di queste, 19 effettuano dei pattugliamenti per il monitoraggio di aree sensibili e contemporaneamente recuperano il floating marine litter che intercettano durante la navigazione. Il fine è migliorare la qualità dei nostri mari, quindi sensibilizzare ancora di più la cittadinanza a non abbandonare i rifiuti. Per le prime stime dovremo attendere qualche mese».
«L’inquinamento dei mari – spiega Quagliolo – è soprattutto la diretta conseguenza di quello che accade sulla terraferma: l’incuria nella gestione dei rifiuti da parte dei cittadini, la perdita e l’abbandono delle attrezzature ittiche e la mancanza di impianti idonei al trattamento delle acque sono solo alcuni dei fenomeni che contribuiscono alla presenza dei rifiuti nei nostri fiumi e nei nostri mari. Grazie a iniziative come questa si ottiene un duplice vantaggio: contribuire a preservare la bellezza del nostro territorio e trasformare il rifiuto in una risorsa».
Questo è solo l’ultimo dei progetti italiani preposti alla tutela del bacino mediterraneo. Nel 2018 sono state posizionate speciali barriere acchiapparifiuti sul Po, sia sul delta, in località Pontelagoscuro (Fe), sia nel pieno centro di Torino, ai Murazzi, sia all’altezza di Sacca di Colorno (Pr). Sulla scorta del positivo test del Po, per iniziativa della Regione Lazio, anche i fiumi Tevere e Aniene sono stati dotati di barriere per intercettare e convogliare in un’area di raccolta i rifiuti trasportati dai corsi d’acqua.
«In sinergia con le cooperative dei pescatori e le Capitanerie di porto – spiega Quagliuolo – sono state inoltre avviate raccolte speciali e azioni di prevenzione. Con la Regione Lazio e la Regione Puglia, rispettivamente nei porti di Fiumicino, Civitavecchia e Molfetta, i pescatori tutt’oggi raccolgono i rifiuti presenti sul fondale durante le normali attività di pesca a strascico depositandoli in sacchi denominati big bag. Anche in questo caso, gli imballaggi in plastica rinvenuti vengono successivamente analizzati per verificarne la riciclabilità».