Anche a marzo la percentuale di studenti in aula sarà piuttosto bassa. Più di tre milioni di alunni resteranno a casa per la didattica a distanza, di cui quasi 800 mila bambini della scuola dell’infanzia e primaria, quasi mezzo milione di alunni delle medie e 1 milione e 800 mila studenti delle superiori – secondo il portale specializzato Tuttoscuola – su un totale di 8 milioni di studenti italiani: oltre uno studente su tre resterà a casa.
Al governo si discute se tenere aperti gli istituti in zona arancione o procedere con la didattica a distanza. Dopo aver dato le indicazioni per l’esame di maturità, il nuovo ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha fatto capire che il ritorno alle lezioni in presenza è in cima alla lista delle priorità: «Riporteremo gli studenti in classe. Dobbiamo essere molto cauti, la prima cosa da fare è vaccinare tutti gli insegnanti e il personale. La sicurezza delle scuole, sia pandemica che strutturale, sarà un punto forte del mio mandato».
A proposito di sicurezza, un’indicazione interessante in questo senso è arrivata da un recente studio pubblicato dal New York Times che analizza i benefici di una corretta ventilazione delle aule scolastiche. Ci sono delle premesse da fare: l’analisi prevede un numero di studenti contenuto – l’esempio pratico che fa il quotidiano è con dieci persone in aula -, il mantenimento delle distanze di sicurezza tra i banchi e l’obbligo di indossare le mascherine.
Il New York Times spiega che «in un’aula scolastica circa il 3% dell’aria che ogni persona respira è stata precedentemente espirata da altre persone, ma gli esperti concordano sul fatto che una buona ventilazione sia in grado di liberare una stanza dagli agenti contaminanti: sono raccomandati da quattro a sei ricambi d’aria all’ora nelle classi per ridurre sensibilmente il rischio di contagio».
Uno studio sullo stesso argomento era stato pubblicato anche sulla rivista Physics of Fluids, firmato dai fisici dell’Università del Nuovo Messico, negli Stati Uniti, che specificava che «quasi il 70% delle particelle esce dall’aula scolastica tenendo le finestre sono aperte».
In Italia se n’è parlato poco, finora. Il Comitato tecnico scientifico lo scorso 12 agosto si era limitato a evidenziare la necessità di assicurare l’aerazione dei locali in cui si svolgono le lezioni, garantendo periodici ricambi d’aria. Una raccomandazione poi tradotta in quel «non c’è bisogno di tenere le finestre sempre aperte» ripetuto spesso dall’ex ministra Lucia Azzolina.
«Gli studi sul contagio via aerosol, cioè la trasmissione del virus attraverso l’aria che respiriamo, risalgono alle prime settimane di pandemia ma media e istituzioni non hanno mai dato molto peso alla cosa: si sono concentrati solo sul contagio via droplets», spiega a Linkiesta Francesco Forastiere, medico epidemiologo dell’Imperial College di Londra e direttore della rivista italiana Epidemiologia e Prevenzione.
«Basterebbe aprire le finestre a intervalli regolari di una ventina di minuti per migliorare la qualità dell’aria. Sarà più facile farlo adesso che avremo climi più miti e sarà sopportabile anche una finestra sempre aperta. Va detto che un buon sistema di ventilazione non è una garanzia assoluta di eliminazione del contagio, ma diminuisce di gran lunga il rischio. Sappiamo che più tempo i ragazzi passano a casa e maggiori sono i danni, allora mantenendo la soluzione della rotazione tra gli studenti, una parte in presenza e una parte a distanza, si potrebbe immaginare di riaprire le scuole», spiega Forastiere.
L’articolo del New York Times suggerisce anche un’altra opzione: l’utilizzo di una ventilazione meccanizzata. Soluzione che in Italia non è mai stata presa in considerazione con insistenza, come dice a Linkiesta la vicepresidente dell’Associazione nazionale dirigenti scolastici Paola Bortoletto: «Il ministero non ne ha mai parlato. Ho letto di alcuni studi che descrivono la ventilazione meccanizzata come una soluzione molto valida, ma ci sarebbe bisogno dell’investimento dello Stato perché le scuole non possono sostenere la spesa economica».
A fine dicembre il deputato della Lega Rossano Sasso, oggi sottosegretario all’Istruzione, aveva presentato un ordine del giorno alla Camera – un emendamento al decreto di Natale – per chiedere al governo (allora guidato da Giuseppe Conte) di valutare l’opportunità di dotare gli istituti scolastici di impianti di ventilazione meccanica controllata. Ma non se ne fece nulla: la proposta è stata rifiutata, considerata dispendiosa, poco sostenibile e di difficile applicazione.
Ad ogni modo, in tutti i luoghi chiusi e frequentati per diverse ore, come le aule scolastiche e universitarie – così come bar e ristoranti, per fare un altro esempio – una ventilazione efficace, naturale o forzata, diventa fondamentale. Ma «non esistono ancora modelli particolarmente approfonditi che diano garanzie totali di sicurezza», dice a Linkiesta Giuseppe Martino Di Giuda, vicerettore per la digitalizzazione, programmazione, sviluppo e valorizzazione del patrimonio edilizio all’Università di Torino.
Di Giuda ha collaborato con la Fondazione Agnelli per il progetto Spazio alla Scuola, una piattaforma informatica pensata come supporto per preparare la ripresa delle attività didattiche in presenza, con strumenti pratici per verificare la capienza delle aule e degli altri spazi scolastici e per programmare i flussi e lo scaglionamento delle classi all’ingresso e all’uscita, nel rispetto delle misure di distanziamento.
Per quanto riguarda la ventilazione meccanizzata, ad esempio, «credo che non più del 10% delle aule italiane abbia la ventilazione meccanizzata», spiega Di Giuda. «Si può installare – aggiunge – ma i tempi dell’edilizia sono molto lunghi. Si possono usare dei sistemi puntuali, però i modelli a nostra disposizione non sono semplicissimi. Ad esempio: se io incanalo l’aria in una direzione per espellerla avrò degli studenti investiti dal flusso d’aria, come si notava anche nello studio pubblicato dal New York Times. E ad esempio ancora non conosciamo la velocità ideale dell’aria per la ventilazione».
Nonostante le difficoltà nel raggiungere un modello scientifico eccellente, anche il professor Di Giuda ribadisce l’utilità di un giusto ricambio d’aria che «riduce sensibilmente il rischio di contagio, le concentrazioni di CO2 e l’aria insalubre all’interno dell’ambiente. Ovviamente a patto che siano poi rispettate le altre disposizioni, ad esempio che l’aria respirata non finisca nei corridoi e in altri ambienti chiusi, e che siano rispettate le distanze tra i banchi o all’ingresso e all’uscita».
Rispettare tutte le misure di prevenzione a scuola potrebbe non essere un’operazione così semplice. «Molte scuole italiane – dice la vicepresidente Andis Paola Bortoletto – si trovano in edifici molto vecchi, costruiti secondo altri standard: non a caso durante il 2020 abbiamo discusso con il ministero anche della necessità di una ristrutturazione, se non addirittura rifondazione, degli edifici». Il Rapporto sull’Edilizia Scolastica della Fondazione Agnelli conta 39.079 edifici scolastici attivi: «La grande stagione dell’edilizia scolastica – si legge nel documento – si è sviluppata dal 1958 al 1983 con oltre 800 edifici all’anno e due edifici su tre sono stati costruiti prima del 1976».
Il discorso del ritorno alle lezioni in presenza vale anche per le università. Ma per quanto riguarda il tema della ventilazione la condizione delle aule universitarie è molto diversa da quella scolastica. «È uno scenario abbastanza vario, c’è sempre differenza tra un ateneo e l’altro, ma la maggior parte delle università ha il vantaggio di fare lezione in stanzoni con una cubatura enorme, aule che con dei turni di alternanza tra studenti in presenza e a distanza difficilmente si riempirebbero», dice a Linkiesta Enzo Cartaregia dell’associazione Futuro Aperto, che ha già lanciato un appello a Governo, Regioni e università per chiedere una strategia di ripresa delle lezioni in presenza basata su test e vaccini (qui il link per la petizione).
«Il monitoraggio previsto dall’ex ministro Gaetano Manfredi – aggiunge Cartaregia – testimonia che l’università non genera necessariamente un cluster di contagi. La richiesta che facciamo noi è quella di usare un metodo scientifico nel prendere queste decisioni sulle chiusure, piuttosto che una decisione meramente politica che per essere il più efficace possibile chiude magari solo per timore. Per tornare alla didattica in presenza non aspetteremo che finirà del tutto la pandemia: sarà sempre troppo tardi».