Mette alla prova gli schemi consolidati, sfida le abitudini e provoca nuovi spunti di riflessione. È il pensiero laterale. Ma, a pensarci bene, lo fa anche l’umorismo. Entrambi parlano la lingua dello stupore e dell’imprevisto, stabiliscono nuove connessioni e ristrutturano gli elementi in gioco.
È per questo che Filippo Losito, autore di narrativa, teatro e televisione (nonché comico), li comprende nel sul ultimo libro: “Humor e pensiero laterale – I processi mentali che stimolano la creatività”, edito da Egea, in cui fa un viaggio nei meccanismi della creatività e della risata, ne analizza i processi mentali e ne stabilisce la parentela.
Il risultato è un ponte tra due mondi, entrambi studiati da tempo ma quasi mai collegati. La risata, si sa, è «come il respiro e il pensiero: un atto involontario» e nel suo coinvolgere, in maniera quasi totale, i muscoli del corpo, diventa «l’indicatore più evidente dell’emozione». È la situazione unica in cui «qualità del pensiero e qualità del respiro sono collegate».
La creatività è più complessa, è «una sorpresa produttiva, una modificazione concreta e inaspettata delle attività in cui l’uomo si trova coinvolto» (definizione dello psicologo James Bruner. Non c’è respiro, ma rilassamento. E poi un’illuminazione. Se le ragioni per cui si ride sono tante, alla base si ritrova una struttura simile a quella dell’invenzione, cioè il contrasto tra situazione attesa e risultato sorprendente (cui va aggiunta la tenuità della differenza: se uno scivola su una banana fa ridere, se muore è una tragedia).
Il meccanismo è lo stesso: la decostruzione di una realtà assodata e la sua rielaborazione improvvisa. Può avvenire nel giro di poche frasi, o addirittura di poche parole. «So che sei un avvocato molto caro. Per 500 euro risponderesti a due mie domande?». «Certo. Qual è la seconda?».
Creatività e umorismo, spiega Losito a Linkiesta, «servono a eliminare certe forme di fissità, schemi di pensiero e abitudini consolidate di cui ci serviamo tutti i giorni».
Si tratta di dispositivi essenziali per la vita quotidiana: «di fronte a situazioni note è il cervello ad anticipare e immaginare le mosse successive, interpretando i casi secondo un repertorio che ha formato negli anni».
Il fatto è che la creatività può essere esercitata. È allenabile, richiede fatica ma ci sono esercizi che aiutano a utilizzare forme di pensiero diverse. «È il caso dei sei cappelli inventati dal neuroscienziato Edward De Bono. Ogni cappello ha un colore diverso, e a ogni colore corrisponde un umore e una disposizione verso il mondo. Quando li si indossa, si vede il problema da un punto di vista diverso e nuovo».
Questo spaesamento cognitivo aiuta ad avere una comprensione più ampia e a generare collegamenti inediti. «Anche cambiare posto, più volte, in una conferenza, aiuta». Per questo «bisogna passare da una situazione di stabilità a una di instabilità».
Senza esagerare: la creatività ha bisogno di tranquillità interiore e un buonumore di fondo. Le energie non devono essere consumate da altre ansie e pensieri («Aaron Sorkin le idee migliori le ha sotto la doccia, dove il campo visivo, con tutti i suoi stimoli, viene limitato. Chiudere gli occhi significa concentrarsi su di sé»).
Ma è vero che anche le situazioni di stress assoluto aiutano: «Nel libro ricordo per esempio la scena della serie Mad Man, in cui Don Draper, proprio mentre sembra che il suo cliente più importante se ne stia andando, trova l’idea. In quel caso è la situazione di stress totale a far nascere l’illuminazione».
Per allenare la creatività si può iniziare da piccoli (anzi: secondo Alessandro Bergonzoni, si «deve cominciare all’asilo»). A due anni i bambini hanno già subito condizionamenti, sono già, in un certo senso, indirizzati. Però «il gioco del bambino è spesso privo di regole: è tutta una rappresentazione continua, con una sua logica intrinseca ma diversa. Quello che manca è l’elemento fondamentale del gioco dell’adulto: l’obiettivo. Toglierlo significa eliminare la paura del fallimento, che è uno dei meccanismi di censura più forti».
Una situazione purtroppo non replicabile in realtà più concrete come quelle aziendali, dove al contrario l’obiettivo costituisce il punto di partenza. «Ma esistono modi per ammorbidire la sua capacità di pressione, per lasciare spazio a fantasia e sperimentazione». E spesso questi modi sono quelli frequentati dai comici, che per professione sono sottoposti a paura e pressioni continue.
In fatto di battute, Losito prende esempi da più tradizioni umoristiche – la sua formazione è avvenuta con la scuola dello Zelig, «dove si lavora tantissimo sulla costruzione della battuta» e dove le Formiche di Gino e Michele «costituiscono un modello assoluto» – e attinge molto dalla più recente stand-up comedy anglosassone (che ha indagato in un altro suo libro).
«Il pubblico si alfabetizza dal punto di vista umoristico. E così anche le battute invecchiano». La comicità cambia perché, con il tempo, la sorpresa innescata dallo stravolgimento dell’aspettativa viene meno. Il contrasto diventa prevedibile ed è compito del comico (quello bravo) trovare nuove soluzioni. Così una idea creativa, una volta diventata comune, smette di essere nuova. E appare scontata.
Ma il processo non si arresterà mai, perché è radicato nella natura umana. E ha un nome: «La neotenia – uno dei tratti unici della specie umana, cioè il mantenimento anche in età adulta di alcuni tratti dell’infanzia – è quello che ci permette, insieme ad altre cose, di conservare la voglia di giocare e far vivere il gusto della scoperta e della sperimentazione». Eliminando, di volta in volta, convincimenti e meccanismi autonomi diventati ormai da ostacolo.