Stigma abitativoLa pandemia ha completamente isolato le persone che vivono da sole

I dati Istat evidenziano un peggioramento della qualità di vita e registrano il minimo storico di nascite. A preoccupare è anche l’impatto che l’emergenza sanitaria produce nei cittadini che non abitano in un contesto matrimoniale o familiare, sia a livello sociale sia sul piano dell’inquinamento

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Alla fine dell’anno passato rispetto a 12 mesi prima, la popolazione residente in Italia era inferiore di quasi 384.000 persone. Come se fosse sparita una città grande quanto Firenze, ha fatto notare l’Istat evidenziando appunto gli effetti negativi che l’epidemia ha prodotto. Ma se da un lato il saldo naturale tra morti e nati è inferiore solamente a quello considerato da record avvenuto quando nel 1918 la cosiddetta «spagnola» causò quasi la metà del milione e trecentomila morti, dall’altro il declino della nostra popolazione è un fenomeno in atto da diversi anni.

Tant’è che è proprio nel 2020 che si registra un nuovo minimo storico di nascite dall’epoca dell’Unità d’Italia: -3,8%. Quasi 16 mila in meno rispetto al 2019, visto che nel 2020 sono stati iscritti in anagrafe per nascita soltanto 404.104 bambini. Un calo che coinvolge un po’ tutte le regioni e le cui ragioni vanno ricercate nei fattori che già in precedenze contribuivano ad alimentare il trend negativo dell’ultimo decennio. Ragioni che non dipendono solo dalla progressiva diminuzione della popolazione in età feconda ma che si innestano perfettamente in quel clima di incertezza nel futuro che la pandemia ha certamente acuito.

Ma il senso di sfiducia generato dalle prime ondate della pandemia ha peggiorato l’intera dinamica demografica nel nostro Paese che, con un drastico -47,5%, ha registrato anche un crollo del numero di matrimoni celebrati rispetto all’anno precedente.

Di certo le restrizioni messe in atto per arginare la diffusione del contagio, inibendo il sogno nuziale di molte coppie italiane, hanno causato una forte battuta d’arresto ad un settore che prima della crisi contava su un volume d’affari di oltre 10 miliardi di euro l’anno. Infatti, tra servizi fotografici, ristorazione, allestimenti floreali, trasporti, abbigliamento e viaggi, quella dei matrimoni è una vera e propria industria che occupa un milione di persone che oggi stanno pagando un prezzo veramente altissimo con perdite stimate tra l’85% e il 95%.

Quando nelle scorse settimane l’Istat ha diffuso questi dati demografici, in molti abbiamo pensato in prima battuta che la particolare pesantezza fosse una conseguenza diretta della circostanza temporanea data dall’emergenza sanitaria. In realtà, a ben guardarli ci dicono che il Covid-19 non ha fatto altro che accelerare anche in fatto di matrimoni una tendenza già in atto che negli anni precedenti ha visto non solo decrescere i matrimoni, sia prime nozze sia seconde o successive, ma anche le unioni civili.

A dimostrazione che siamo di fronte a un diffuso mutamento delle relazioni che coinvolge tutti, arriva anche il numero delle separazioni che rappresenta oltre il 50 per cento di quello dei matrimoni. Vuol dire che in media un matrimonio su due è destinato a naufragare.

Ma se abbiamo rappresentato il matrimonio sempre più come un peso da sopportare per tutta la vita e sempre meno come un cammino dinamico di crescita e realizzazione, parafrasando una magnifica affermazione di Papa Francesco fatta nella sua seconda esortazione apostolica, non abbiamo considerato il peso in termini di responsabilità delle umane esistenze singole.

Ovviamente per competenze non stiamo avventurandoci in ambiti teologici o psicologici, ma solo commentando un recente studio pubblicato sul sito di informazione a cui collaborano accademici e ricercatori di tutto il mondo “The Conversation”, secondo il quale l’aumento delle persone che vivono da sole è una tendenza in atto in tutto il mondo e le ragioni sono simili ovunque.

Questa tendenza però pone un quesito ambientale molto importante perché ha conseguenze negative e altamente impattanti sul clima del nostro pianeta in quanto vivere da soli genera un maggior consumo di risorse, una maggiore produzione di rifiuti e maggiori emissioni di gas serra.

Sì, perché ogni abitazione generalmente dispone di elettrodomestici e utenze e comfort vari i cui consumi vengono ovviamente ottimizzati quando sono spalmati su nuclei familiari che contano su diversi componenti.

Siamo ancora una volta di fronte alla necessità di un cambio di paradigma sul quale la pandemia ha solo acceso i riflettori. Il peso del nostro stile di vita è sempre meno sostenibile anche dal punto di vista delle organizzazioni abitative che se non torneranno ad accogliere convivenze basate su scelte di vita matrimoniali e familiari, frutto di una precisa cultura che vede nell’impegnarsi in un progetto d’amore la migliore strada verso una crescita affettiva e spirituale, dovranno almeno prevedere la possibilità di mettere in comune tutti quei servizi oramai irrinunciabili il cui peso è insostenibile se non condiviso.

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