Frontiere sbarrate. A fine marzo l’Unione europea ha deciso di rendere più difficili le esportazioni dei vaccini verso 16 Paesi fuori dal Continente che risultano avere tassi di vaccinazione più alti di quelli di Bruxelles o che dovessero bloccare le esportazioni verso l’Europa. Secondo il domenicale SonntagsBlick la decisione dell’Europa è stata in gran parte dovuta alle tensioni sulle forniture di vaccini legate al caso AstraZeneca con la Gran Bretagna. Tra i Paesi bloccati c’è la Svizzera, che però senza l’Europa rischia di trovarsi in ampia difficoltà.
Il governo federale di Berna ha infatti subito convocato l’ambasciatore europeo, Petros Mavromichalis, e la segreteria di Stato per gli affari economici (SECO) ha chiesto a Bruxelles di essere nuovamente inclusa nell’elenco dei paesi non soggetti alle norme sulle licenze di esportazione, giustificando la sua richiesta «sulla natura altamente integrata e co-dipendente delle catene di fornitura e distribuzione medica svizzera ed europea». Infatti, nonostante i dati discretamente buoni a livello di vaccinazione, la Svizzera è ancora indietro nella sua campagna vaccinale e senza l’aiuto dell’Unione potrebbe non raggiungere gli obiettivi. Il Musterschüler, il cosiddetto “studente modello”, il modo in cui la Svizzera immagina se stessa, rischia così di finire dietro la lavagna.
Eppure, i dati dicono il contrario. Secondo le statistiche di Ourworldindata finora 971 mila persone hanno ricevuto una prima dose del vaccino, pari a circa l’11% della popolazione, mentre 578 mila Svizzeri sono stati già completamente vaccinati, il 6,6% del totale (dati del 31 marzo). Numeri che pongono Berna appena dietro la media europea per quanto riguarda la prima puntura (stimata intorno al 12,8%), ma incredibilmente avanti per le due dosi, dove l’Europa si ferma ad appena il 5,3% della popolazione. Per questa ragione la Svizzera teme che un’eventuale accelerazione della campagna vaccinale fermi il flusso di dosi dall’Europa; un controsenso se si immagina che il Paese alpino è uno dei produttori mondiali più importanti.
Il momento, infatti, in Svizzera è particolarmente critico sul fronte della lotta al virus. I dati mostrano che i contagi sono in rapida risalita: la media dei casi negli ultimi 7 giorni è di 1859 nuovi positivi, in crescita del 15% rispetto alla scorsa settimana. Anche per questo il governo ha dovuto rinviare l’allentamento delle restrizioni, che prevedeva di fare già a metà marzo e che invece sono state rinviate più avanti, con l’unica eccezione dell’allargamento delle feste da 5 a 10 persone.
«Dobbiamo essere un po’ più pazienti, purtroppo. Non possiamo giustificare una simile scelta in questo momento. La situazione sta peggiorando e siamo all’inizio di una possibile terza ondata», ha dichiarato il ministro dell’Interno Alain Berset. Finora le vaccinazioni hanno già coperto over 80 e membri delle case di riposo, due gruppi che mostrano un crollo nel numero dei contagi e delle ospedalizzazioni se paragonate a quelle della fascia 0-69, ormai predominanti. «E questo è solo l’inizio: la separazione tra le curve è destinata ad aumentare», ha dichiarato Claire-Anne Siegrist, direttrice del Centro di vaccinologia presso gli ospedali universitari di Ginevra.
Nel piano vaccinale svizzero sono inclusi anche i 70 mila transfrontalieri e i 2 mila italiani che abitano nell’enclave di Campione d’Italia, comune di 2 mila anime incluso nella provincia di Como che però si trova nel territorio svizzero. Per loro il governo federale, d’accordo con quello cantonale del Ticino, ha dato sin da subito la possibilità di vaccinarsi seguendo le indicazioni date dalle autorità sanitarie svizzere e dando precedenza alle categorie a rischio, come quelle che operano nell’ambito sanitario.
Il problema, quindi, sembrano essere soltanto i vaccini, ma in realtà c’è di più. Nonostante il governo federale di Berna abbia acquistato 36 milioni di dosi per i suoi 8,6 milioni di abitanti e la presenza di uno dei sistemi sanitari più ammirati al mondo, molti residenti sono ancora incerti su dove registrarsi per ricevere una puntura. La causa è da ricercare nella confusione presente all’interno della gestione dell’epidemia da parte dei cantoni a cui si aggiungono alcune scelte governative poco chiare.
A livello locale fa scuola il caso di Zurigo, il cantone più popoloso di tutto il Paese, che risulta essere il ventiseiesimo su 26 per numero di vaccinazioni e che soltanto a fine marzo ha aperto al pubblico il portale informatico per chi volesse registrarsi per ricevere una puntura, dopo che un primo tentativo era fallito già a dicembre. La registrazione sul sito non significa che è possibile prenotare un appuntamento ma che si può segnalare il proprio interesse, con la speranza di essere contattati all’arrivo del vaccino.
Mentre le autorità mettevano a punto il sito, Tages Anzeiger ha diffuso la notizia che alcuni residenti zurighesi si recavano nel Canton Svitto per farsi vaccinare visto che l’ospedale di Einsiedeln non controllava le informazioni sulla residenza. Non è stato l’unico problema del cantone: a metà marzo un centinaio di dosi del vaccino Moderna sono state buttate dalle autorità sanitarie del cantone a causa di un’errata procedura di conservazione. Da aprile però la campagna dovrebbe cambiare verso, vista l’apertura di dieci nuovi centri vaccinali e la possibilità di avere più vaccini, dato che a Zurigo e dintorni ci sono molti under 65, che adesso dovrebbero ricevere la loro dose.
Eppure, anche se dovessero arrivare le dosi secondo i tempi previsti, sembra difficile immaginare una vaccinazione completa entro giugno. I medici lo ritenevano già difficile a febbraio e oggi sembra difficile pronosticarlo. Infatti, secondo lo scenario peggiore descritto dal governo, il 50% degli svizzeri rischia di dover aspettare fino a luglio se non addirittura di più per ricevere una puntura: un problema che potrebbe arrivare a riguardare circa 4,3 milioni di persone, quelli sotto i 65 anni.
Vaccinare così tante persone in così poco tempo rischia di essere un’impresa impossibile per un governo ancora profondamente analogico. Basti pensare che l’Ufficio federale della sanità pubblica ha pubblicato per la prima volta i dati sulle dosi somministrate nei cantoni a gennaio tramite una diapositiva PowerPoint salvata come PDF. Non solo: i Cantoni sono infatti costretti a ordinare i vaccini utilizzando un modulo cartaceo dell’Ufficio federale della sanità pubblica. Non una bella immagine per un Paese che sta già progettando un passaporto vaccinale digitalizzato e si perde ancora tra le scartoffie.
Per questo la questione diventa anche politica. A marzo le opposizioni si sono duramente schierate contro le chiusure imposte dal governo. Il Partito Popolare svizzero di destra ha criticato le misure del governo ritenendole sproporzionate e sottolineando che minano i poteri dei 26 cantoni. Il partito di centro, compresi i democristiani, ha chiesto un documento nazionale di vaccinazione, da coordinare con l’Unione europea, per allentare le restrizioni di viaggio mentre i socialdemocratici di sinistra hanno criticato la scelta di mostrarsi reticenti sulla proprietà intellettuale dei vaccini, che potrebbe aiutare i Paesi più poveri.
Nonostante la crescita della terza ondata le opposizioni sperano ancora nel documento di inizio marzo in cui il Parlamento chiedeva al governo di allentare le restrizioni entro fine mese, cosa però non successa. «Soltanto i vaccini possono aiutarci a tornare alla normalità», ha dichiarato il ministro dell’Interno Alain Berset. Una stretta sui vaccini da parte dell’Unione europea rischia di incidere in maniera definitiva sulle speranze di un ritorno alla vita normale di Berna.