Diritti umaniLa repressione dei uiguri turcofoni non impedisce alla Turchia di fare affari con la Cina

A fine marzo il presidente Erdogan ha chiesto al ministro degli Esteri cinese Wang Yi di rispettare la minoranza etnica di fede musulmana e cultura turca che vive nello Xinjang, ma la questione irrisolta non intacca lo scambio economico da oltre 20 miliardi di dollari all’anno tra Ankara e Pechino

LaPresse

Pubblicato originariamente su Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa

Relazioni politiche ed economiche, ma anche lotta al Covid-19: sono stati principalmente questi i temi discussi tra Recep Tayyip Erdoğan e il ministro degli Esteri cinese Wang Yi durante la sua visita ad Ankara di fine marzo.

Durante un tour diplomatico che lo ha portato a visitare Iran, Arabia Saudita e i paesi del Golfo, il politico cinese è passato anche per la Turchia suggellando il solido rapporto che si è costruito negli ultimi dieci anni tra Ankara e Pechino. Oltre 20 miliardi di dollari all’anno di scambio economico, collaborazioni internazionali di primo livello – come ad esempio nella gestione del porto di Taranto – e investimenti cinesi per oltre 2 miliardi di dollari in Turchia in settori chiave come energia, infrastrutture, logistica, finanza e telecomunicazioni.

Le relazioni tra Ankara e Pechino sono robuste e crescono di giorno in giorno, si potrebbe anche dire di pari passo all’inasprimento dei rapporti tra Turchia e Unione europea che riguarda principalmente le critiche dell’UE su questioni relative ai diritti umani e comunque non scalfisce più di tanto il rapporto commerciale tra Ankara e Bruxelles.

Paradossalmente, nelle relazioni tra la Turchia e la Cina è invece il presidente turco a richiamare Pechino riguardo al rispetto per i diritti umani. E anche questo accade senza che le relazioni economiche vengano più di tanto intaccate, almeno per ora.

«Abbiamo espresso la nostra sensibilità e le nostre opinioni riguardo agli uiguri»: il ministro degli Esteri turco Mevlüt Ҫavuşoğlu si è espresso pubblicamente in questi termini dopo l’incontro con il suo omologo cinese Wang Yi del 25 marzo ad Ankara. Nel suo messaggio su Twitter, sia in turco che in inglese, Ҫavuşoğlu ha precisamente utilizzato il termine «turchi uiguri» rimarcando esplicitamente il fatto, ben noto in Turchia, che la popolazione uigura è di etnia turcofona.

Originari di una regione centro asiatica che loro stessi definiscono Turkistan orientale, gli uiguri condividono con i turchi anche la religione musulmana oltre che moltissimi piatti della loro tradizione culinaria. Nelle mappe cinesi la parola Turkistan orientale però non esiste. La regione abitata a maggioranza dagli uiguri si chiama ufficialmente Xinjang e il governo di Pechino ha un rapporto conflittuale con gli uiguri sin dai tempi della fondazione della Repubblica Popolare Cinese.

In realtà, già prima del 1949 gli uiguri tentarono per due volte di creare uno stato indipendente, riuscendoci solo momentaneamente per pochi anni. Sebbene siano ufficialmente riconosciuti come una delle 56 minoranze della Repubblica Popolare, da anni Pechino combatte il movimento indipendentista uiguro e porta avanti un processo di assimilazione forzata nei loro confronti che negli ultimi anni ha raggiunto livelli drammatici.

«Per evitare di ammettere le violazioni dei diritti umani che commette nei nostri confronti, la Cina lavora ad un’opera di disinformazione diffondendo menzogne», è quello che sostiene Nureddin İzbasar, un uiguro che da anni vive a Istanbul dove ha fondato nel 2019 l’Osservatorio per i Diritti Umani del Turkistan Orientale.

İzbasar racconta di campi nello Xinjang ufficialmente aperti per rieducare gli uiguri e dove di fatto sono costretti in prigionia. Stima che oltre un milione di persone entri ed esca dai campi ogni anno, parla di stupri, uccisioni e bambini sottratti alle loro famiglie.

Nel descrivere la situazione in cui vive il suo popolo, il presidente dell’Osservatorio per i Diritti Umani del Turkistan Orientale fa addirittura un paragone con i campi di sterminio della Germania nazista. Ad utilizzare il termine “genocidio” per definire il trattamento della popolazione uigura era stato lo stesso presidente turco Erdoğan già più di 10 anni fa quando era primo ministro e la situazione degli uiguri non era poi così diversa da quella di oggi.

All’epoca si potevano sentire pochi politici in Europa utilizzare toni così duri per criticare la Cina riguardo al trattamento degli uiguri. Oggi l’Europa ha invece una posizione molto più netta nel condannare Pechino rispetto alla questione uigura, come dimostrano le sanzioni recentemente imposte dall’UE alla Cina proprio per questo motivo.

Anche gli Stati Uniti della nuova amministrazione Biden hanno criticato la posizione del governo cinese nei confronti degli uiguri definendola ufficialmente “genocidio”. Il presidente turco oggi non utilizza invece più questo termine e stringe rapporti sempre più consistenti con il governo di Pechino.

A parlare di genocidio in corso sono invece gli uiguri che vivono in Turchia, quasi 60mila persone a cui Ankara concede ospitalità e il diritto di manifestare la propria rabbia contro la Cina: il giorno della visita del ministro degli Esteri cinese ad Ankara gli uiguri hanno potuto protestare pubblicamente non solo nella capitale turca, ma anche a Istanbul, dove vive la maggior parte della loro diaspora in territorio turco.

Si tratta di un punto rilevante considerando che regolarmente nella Turchia di Erdoğan manifestazioni pubbliche di dissenso politico vengono vietate o duramente represse. Il silenzio del presidente turco rispetto alla questione uigura non è infatti da interpretare come un cambio di posizione in nome dell’interesse economico.

Secondo la stampa turca, durante la visita del ministro degli Esteri cinese ad Ankara Erdoğan avrebbe espresso disapprovazione nei confronti delle politiche di Pechino contro gli uiguri. Di certo, il giorno dopo la visita del politico cinese il presidente turco ha lamentato pubblicamente che la Cina aveva promesso di inviare in Turchia entro fine febbraio 50 milioni di dosi del vaccino anti Covid Sinovac – su un totale di 100 milioni di dosi promesse – ma i patti non sono stati completamente rispettati ed Erdoğan ha assicurato di avere sollevato la questione personalmente con Wang Yi.

Secondo gli uiguri in Turchia il motivo di questo ritardo sarebbe la mancata ratifica di Ankara di un accordo tra la Turchia e la Cina per l’estradizione di uiguri che Pechino considera terroristi. Alla fine dello scorso anno, proprio mentre Ankara si accordava con Pechino per l’acquisto del vaccino Sinovac, il governo cinese ha ratificato l’accordo di estradizione degli uiguri mentre il parlamento turco deve ancora esprimersi a riguardo. Il mancato arrivo dei vaccini sarebbe dunque una pressione esercitata dalla Cina sulla Turchia per ratificarlo.

«Gli uiguri che vivono in Turchia in questo momento sono molto spaventati per questo accordo di estradizione», racconta Nureddin İzbasar dell’Osservatorio per i Diritti Umani del Turkistan orientale. Secondo İzbasar, se Ankara ratificasse l’accordo questo potrebbe diventare un pericoloso precedente a cui guarderebbero i governi di altri stati musulmani dove è presente la diaspora uigura, che vedono nella Turchia un modello.

Il testo è attualmente in esame in Commissione Giustizia e Diritti Umani del parlamento turco e, per cercare di dissuadere i deputati alla ratifica, l’Osservatorio dei Diritti Umani del Turkistan Orientale ha stretto contatti con tutti i partiti politici presenti nel parlamento turco, tranne i kemalisti del Partito Repubblicano del Popolo (CHP).

Sebbene con la crescita delle relazioni politico economiche Erdoğan abbia un po’ moderato le critiche verso Pechino nei confronti del trattamento sugli uiguri, la posizione del governo turco non sembra essere mutata e sicuramente gli uiguri sperano che l’amministrazione turca possa ancora proteggerli. Nel frattempo, le dosi del vaccino Sinovac tardano ancora ad arrivare.

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