Originariamente pubblicato su Data journalism network
Secondo un’inchiesta di Investigate Europe, un team internazionale di giornalisti, il Trattato sulla Carta dell’Energia (Tce) potrebbe rappresentare un importante scoglio, per l’Unione e i suoi Stati membri, nel raggiungimento degli obiettivi climatici. Va ricordato che entro il 2050 l’Ue dovrebbe raggiungere la neutralità climatica, ovvero l’annullamento delle emissioni.
L’inchiesta, a firma di Nico Schmidt e Oliver Moldenhauer, mette in luce fino a che punto il Trattato sulla Carta dell’Energia mette a rischio questo obiettivo. Si basa a sua volta sui dati e analisi della Ong Global Energy Monitor e dell’advocacy Oil Change International su giacimenti di petrolio e gas, centrali elettriche a carbone e a gas, stazioni di gas naturale e gasdotti in Europa.
Firmato nel 1994 ed entrato in vigore nel 1998, il Trattato sulla Carta dell’Energia è ancora poco conosciuto. Attualmente conta 55 firmatari e parti contraenti, tra cui l’Unione, e si concentra su quattro ambiti diversi: la protezione degli investimenti stranieri, le condizioni non discriminatorie per il commercio delle fonti di energia, la risoluzione delle controversie tra investitori e Paesi ospitanti e la promozione dell’efficienza energetica.
La quarta area mira addirittura a «ridurre al minimo l’impatto ambientale della produzione e dell’uso dell’energia». Ma questo sarà complicato, soprattutto perché il trattato è utilizzato principalmente da società e investitori europei per citare in giudizio gli Stati membri, o minacciare di farlo.
Infatti, se un governo viola il principio del “trattamento giusto ed equo”, gli investitori o le società energetiche possono citare in giudizio gli Stati davanti ai tribunali arbitrali internazionali per miliardi di euro di risarcimento. Non importa il fatto che sia la loro opinione contro un’altra, non importa il fatto che le cause legali vengano solo prese in considerazione piuttosto che effettivamente avviate.
Complessivamente, nell’Unione, nel Regno Unito e in Svizzera, le infrastrutture fossili protette dall’ECT valgono 344,6 miliardi di euro. Tre quarti dei quali sono costituiti da giacimenti di gas e petrolio (126 miliardi di euro) e oleodotti (148 miliardi di euro).
Investigate Europe definisce questa somma “immensa”: equivale a oltre due anni di spesa della Commissione europea, dai sussidi all’agricoltura a tutti i pacchetti di aiuti Covid-19.
Gli investitori possono citare in giudizio non solo per il valore della loro infrastruttura, ma anche per la perdita di aspettative di profitto, quindi le effettive richieste di risarcimento possibili potrebbero superare l’attuale “immensa” somma.
Il solo Regno Unito ha infrastrutture per i combustibili fossili protette dall’ECT per un valore di oltre 140 miliardi di euro (almeno in parte di proprietà di investitori stranieri autorizzati a citare in giudizio ai sensi del trattato), il che significa potenziali cause legali per lo stesso importo o più. Segue la Germania con 56 miliardi di euro, poi Francia, Italia, Danimarca e Paesi Bassi (tutti sopra i 15 miliardi di euro ciascuno).
In termini più concreti, le infrastrutture per i combustibili fossili rappresentano il 5,6% del Pil britannico, seguite dal 5,1% in Danimarca e dal 4,7% in Romania ed Estonia.
«Negli anni a venire la minaccia di azioni legali ECT potrebbe impedire agli stati di adottare politiche climatiche ambiziose – o per dirla chiaramente: questo sta già accadendo», scrive Investigate Europe.
I giornalisti sottolineano che «per annacquare le leggi sul clima, le aziende non devono nemmeno fare causa» e «il solo fatto che possano fare causa può essere sufficiente per influenzare le misure sul clima».
Investigate Europe aggiunge che il personale amministrativo dell’ECT ha «stretti legami con l’industria dei combustibili fossili».
Inoltre, i tribunali arbitrali sono descritti come un “club chiuso” in un sistema che consente loro commissioni praticamente illimitate. Per Giacomo Aiello, procuratore dello Stato italiano, questa «sta diventando la roulette russa».
«Non vi è alcun obbligo di seguire la giurisprudenza, nessuna gerarchia di fonti», ha detto Aiello. «Ogni caso può essere diverso dall’altro e quindi un’azienda può sempre trovare un giudice favorevole» da qualche altra parte.
Sebbene l’Italia se ne sia andata nel 2016 e Francia e Spagna avessero chiesto un ritiro, gli Stati possono essere citati in giudizio fino a 20 anni dopo. Le discussioni sulla modernizzazione del trattato sono in corso da dicembre 2019 e, tuttavia, il budget di base dell’ECT per il 2021 fornisce quasi 0,5 milioni di euro alla politica di consolidamento, espansione e sensibilizzazione.