Non basta, anche se aiuta, andare in giro in bici, comprare un’auto ibrida e ricordarsi di spegnere le luci. Non è più sufficiente pensare semplicemente a petrolio e carbone per limitare il riscaldamento globale.
La notizia ufficiale è arrivata dagli oltre cento esperti del comitato scientifico delle Nazioni Unite, la Commissione intergovernativa sul cambiamento climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC). Nel rapporto del 2019 si legge chiaro che il riscaldamento globale non potrà arrestarsi se non si provvederà anche a modificare il sistema alimentare: quel che mangiamo e il modo in cui lo produciamo.
Mentre la politica tende a concentrarsi sulla riduzione dell’uso di petrolio, carbone e gas naturale, i nuovi studi mostrano che anche intervenire sul cibo è cruciale per gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, sottoscritto da 195 governi per limitare da qui al 2030 e oltre la crescita della temperatura media.
Lo ribadisce una ricerca pubblicata su Science a novembre del 2020: anche se le emissioni di combustibili fossili venissero interrotte immediatamente, scrive il team di scienziati britannici e statunitensi, i gas serra che derivano dal sistema alimentare renderebbero impossibile contenere il riscaldamento globale a quel grado e mezzo o due al di sopra dei livelli preindustriali.
Se invece si invertissero le tendenze attuali e si adottassero diete più ricche di vegetali, riducendo anche lo spreco, i risultati potrebbero essere raggiunti.
Qualche lettore si starà chiedendo in che maniera pranzi e cene innalzino le temperature. La risposta è: in diversi modi, per esempio tramite il tipo di digestione del bestiame, il disboscamento in favore di agricoltura e pascolo, l’uso di fertilizzanti, la lavorazione industriale e il trasporto degli alimenti. (…)
Fidatevi di un’analisi pubblicata su Nature a marzo del 2021: le tavole mondiali pesano a spanne per un terzo sulle follie del clima. Dinanzi a tale enormità, si capisce perché l’ONU stia a suggerire con urgenza l’esperienza collettiva e privata di una food revolution. Il pianeta lo salviamo a tavola.
L’eco e l’ego
Una rivoluzione alimentare tocca nel personale e questo può infastidire. Un conto è non inquinare la terra evitando l’auto, un altro è praticare qualche rinuncia nei pranzi e nelle cene, che alla maggior parte di noi danno assai più piacere di guidare nel traffico della città.
Ma c’è qualcosa di straordinario da sapere, qualcosa che rimanda ancora una volta al rapporto tra l’uomo e il mondo: quei pranzi e quelle cene invocati per l’ambiente sono esattamente gli stessi che migliorano la salute individuale.
Il cibo gentile con il pianeta è gentile con il corpo. Il cibo buono è universale: concilia l’ego e l’òikos, come gli antichi greci chiamavano la casa, da cui il termine ecologia, coniato nell’Ottocento.
Verrebbe da commentare che la natura non dispone a casaccio. Non che abbia volontà propria, non ce l’ha. La natura è me, è voi, il pinguino australe e il baobab africano, tutti intrecciati da fili invisibili.
Siamo di materia affine, collegati dalle origini, nelle radici. In alcuni testi di Platone, pare già affiorare la consapevolezza del legame: «Quel piccolo frammento che tu rappresenti, uomo, ha sempre il suo intimo rapporto con il cosmo e un orienta- mento a esso, anche se non sembra che tu ti accorga che ogni vita sorge per il tutto e per la felice condizione dell’universa armonia».
da “Il cibo che ci salverà. La svolta ecologica a tavola per aiutare il pianeta e la salute”, di Eliana Liotta – in collaborazione con European Institute on Economics and the Environment e Progetto EAT della Fondazione Gruppo San Donato – La Nave di Teseo, 2021, pagine 256, euro 18