La bozza del decreto semplificazioni, in dirittura d’arrivo questa settimana, fa litigare i partiti. E si alza la voce anche dai sindacati. Oggi i capidelegazione della maggioranza si incontreranno in cabina di regia, mentre il presidente del Consiglio Mario Draghi è a Bruxelles fino a domani per il Consiglio europeo. Ma resta lo scontro sulle nuove norme per velocizzare e far ripartire i cantieri con i fondi del Recovery Plan.
Da una parte sindacati e Pd vogliono togliere il criterio del massimo ribasso per le gare e criticano anche la liberalizzazione dei subappalti e l’appalto «integrato» per i rischi di infiltrazioni mafiose e la sicurezza sul lavoro. Dall’altra il leader della Lega Matteo Salvini ha riposto, seguito da Forza Italia, ha risposto alzando l’asticella: «Lavoriamo per l’azzeramento del codice degli appalti e l’applicazione della normativa Ue, diamo ai sindaci i poteri diretti sulle grandi opere».
Ma in un’intervista a Repubblica il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) Giuseppe Busia, lo frena. «Il piano Next Generation Ue porterà all’Italia tantissime risorse in tempi molto stretti e ciò ovviamente aumenterà anche eventuali appetiti criminali sulla spesa pubblica. Quindi, è necessario adottare dei contrappesi che non rallentino la spesa, visto che la stessa deve essere strumento di innovazione e sviluppo. Dobbiamo però dare massima trasparenza agli appalti e garantire che le istituzioni competenti e tutti i cittadini li possano controllare. Inoltre, e soprattutto, abbiamo bisogno di una Pubblica amministrazione più forte e competente: è la migliore misura anticorruzione», dice. Proprio l’Anac avrà un ruolo di rilievo nei controlli sui fondi europei in arrivo. Nelle attuali regole sugli appalti, dice il presidente in questi giorni di polemica, ci sono cose da cambiare, «ma usando il bisturi e non l’accetta. E senza sospendere il Codice degli appalti».
Il primo punto critico è l’eliminazione della soglia massima del 40% di lavori che si possono dare in subappalto. Così si apre la strada alla criminalità, sostengono i critici.
«Sui subappalti la Corte di Giustizia europea ha chiarito che le soglie fisse e generalizzate contrastano con la normativa Ue», spiega Busia. «Ma al di là di questo, se la paura legata all’abolizione di un limite fisso si giustifica con il timore dell’infiltrazione criminale o mafiosa – che costituisce effettivamente un rischio legato ai subappalti incontrollati – dobbiamo anche riconoscere che anche il precedente limite del 30%, come pure quello del 40% non vanno bene. Non possiamo essere così ipocriti da dire: accetto la presenza delle mafie negli appalti, purché rimanga nel limite del 40% o del 30%».
E come se ne esce, allora? «Grazie alla digitalizzazione diventa possibile controllare anche i subappaltatori, fare verifiche su di loro e non tollerare la presenza di mafiosi, nemmeno per il 30%», risponde Busia. «Inoltre, la Corte di Giustizia lascia spazio alla presenza di soglie in casi specifici, come le opere superspecialistiche: forse questo limite si può estendere ad alcune lavorazioni con maggiori rischi di infiltrazioni mafiose. In generale, se ne esce prevedendo che anche i subappaltatori siano direttamente responsabili nei confronti della stazione appaltante e non solamente nei confronti dell’appaltatore, come accade oggi».
Altra questione è l’introduzione del criterio del massimo ribasso per aggiudicare una gara. Il presidente dell’Anac spiega che «anche le direttive europee scoraggiano il massimo ribasso. Chiedono anzi di badare alla qualità di beni e servizi messi in appalto, che viene meno se si usa esclusivamente il criterio del prezzo più basso. Perché questo sia possibile, servono però stazioni appaltanti che sappiano progettare e poi misurare la qualità, individuando i parametri adeguati, che debbono valere sia per l’appaltatore principale che per i subappaltatori».
Sull’«appalto integrato», con progettazione ed esecuzione affidate allo stesso soggetto, spiega: «Noi avevamo proposto l’appalto integrato per la manutenzione ordinaria e straordinaria. Farlo in altri casi è più rischioso. Ma, spesso, è una scelta obbligata perché abbiamo pochi progettisti nella pubblica amministrazione e pochi in grado di verificare i progetti. Non bisogna demonizzare a priori l’appalto integrato, ma nel contempo dobbiamo investire per rendere la Pubblica amministrazione abbastanza forte da non essere “catturata” dal privato. Per questo, sarebbe opportuno che per ogni 100 milioni da destinare alle opere pubbliche, 500mila euro fossero riservati per assumere nel pubblico tecnici capaci di progettarle e gestirle».
Ma sulla sospensione del Codice degli appalti, proposto dal leader della Lega Matteo Salvini, il presidente dell’Anac frena: «No, il Codice degli appalti non può essere sospeso, perché le direttive europee non disciplinano tutti gli aspetti e avremmo pericolosi vuoti normativi su parti essenziali. E i funzionari pubblici, trovandosi nel deserto normativo, finirebbero per bloccarsi, invece che accelerare. Purtroppo, il Codice è, da un lato, un cantiere sempre aperto, oggetto di continue modifiche normative, con l’incertezza che ne deriva e dall’altro, la più grande opera incompiuta, perché non abbiamo attuato le sue parti più innovative. Certamente, in alcune parti va aggiornato e migliorato, ma usando il bisturi e non l’accetta, sapendo che ogni modifica inevitabilmente comporta anche un certo rallentamento, necessario per orientarsi nel nuovo contesto».
Busia chiede più trasparenza sui contratti pubblici e spiega che «come Anac abbiamo insistito sulla digitalizzazione delle procedure di affidamento, a partire dalla programmazione e fino al collaudo, nonché sul potenziamento della nostra Banca dati nazionale dei contratti pubblici, gestita dall’Autorità, che è uno strumento essenziale per garantire controllabilità e migliorare la qualità della spesa. Purtroppo, soprattutto con le procedure in deroga, tante volte le imprese non sanno nemmeno che la Pubblica amministrazione ha bisogno di un bene o un servizio e non possono proporre qualcosa di più utile o meno costoso di quello che alla fine viene scelto. Per semplificare, vogliamo creare finalmente il Fascicolo virtuale dell’operatore economico, che concentra le informazioni oggi sparse in varie banche dati e consente così di verificare facilmente se un’impresa ha i requisiti per partecipare a una gara, a cominciare dal fatto che sia in regola sul pagamento delle imposte e dei contributi previdenziali».
Per le cosiddette “stazioni appaltanti”, ossia quelle che bandiscono le gare, sarà una rivoluzione, ma lo sarà anche per le imprese. «Oggi l’impresa partecipa alla gara, poi si trova che manca qualche requisito e la stazione appaltante deve escluderla con gli strascichi legali prevedibili», dice Busia. «Invece, noi vogliamo passare dal cartello stradale che indica staticamente il limite di velocità, al “tutor” oggi presente in autostrada, che indica anche quanto stai andando veloce. Se vuoi, rallenti e rispetti il limite, altrimenti sai che ti ritrovi una multa. E anche l’impresa può avere i suoi vantaggi: ad esempio, si potrà prevedere nel caso in cui gli elementi del suo Fascicolo siano completi, tale verifica resta valida per tre mesi senza che l’azienda debba ripetere tutte le procedure per le altre gare a cui parteciperà in quel periodo. Nel caso delle stazioni appaltanti, in questo modo potranno fare i controlli più rapidamente e per il resto dedicarsi alla strategia di acquisto».
Ma c’è anhce bisogno di ridurre le stazioni appaltanti, che oggi in Italia sono oltre 30mila stazioni. «È impensabile che possano rimanere così tante», spiega Busia. «I grandi appalti e le grandi opere le possono fare pochi e qualificatissimi, e sono le centrali di committenza, in particolare quelle regionali, che vanno rafforzate e alle quali deve essere consentito di offrire servizi anche fuori dalle loro regioni. Anche i comuni dovrebbero creare le loro centrali di committenza, per i casi in cui non vogliono servirsi della Consip e di quelle regionali, lasciando ai singoli comuni solo i contratti di minore dimensione».