Giorgio Napolitano aveva fatto fare gli scatoloni. Molti osservatori, all’epoca, dicevano che fosse tutta una scena, che il Presidente in realtà non desiderava altro che un bis al Colle. Il solito cinismo dei giornalisti. Un cinismo alimentato, beninteso, da tanti precedenti illustri. Di ex capi dello Stato – da Giuseppe Saragat a Sandro Pertini ma forse si deve risalire a Giovanni Gronchi – che non avrebbero certo risposto «preferirei di no», come Bartleby lo scrivano a un Parlamento che gli avesse chiesto di continuare.
Ma Napolitano non voleva il bis, anzi lo vedeva con un certo orrore. Lo disse chiaramente fin dall’anno precedente: «Vedrei con piacere una donna al posto mio», disse nel marzo 2012. Corsi e ricorsi. Se ne parla anche adesso, di una donna (Marta Cartabia), e con maggiore realismo.
Non voleva il bis, Napolitano, per ragioni personali legate anche all’insistenza della moglie Clio che assolutamente pretendeva che il marito rimanesse libero da quel pressante impegno; e anche per una ragione istituzionale di cui era intimamente convinto, che cioè sette anni fossero una durata sufficiente, più lunga degli altri mandati istituzionali ma non tale da introdurre un elemento, diciamo così, “monarchico” nell’ordinamento repubblicano.
Proprio lui che era stato soprannominato “Re Giorgio” per l’interventismo politico esercitato in anni difficili della politica, soprattutto dopo il crollo del berlusconismo e l’assenza di una sana alternativa.
Le testimonianze di chi c’era confermano che lui, fra il 2012 e i primi mesi del 2013, considerava esaurito il suo compito.
Il capufficio stampa del Quirinale, Pasquale Cascella, si era già candidato a sindaco della sua Barletta. Centinaia di pesanti volumi del Presidente erano già stati imballati per essere portati nella sua abitazione privata nel quartiere Monti, a pochi metri dal Quirinale, dove si stabilì definitivamente dal 2015.
Al Colle si parlava di «una liberazione», termine che era sfuggito anche al capo dello Stato.
Era stanco veramente, Napolitano, dopo un settennato non semplice. Eletto nel 2006 dopo la rocambolesca vittoria del centrosinistra (quella dei 24mila voti in più), il primo ex comunista della storia patria entrato al Quirinale, tradizionalmente uomo del dialogo e assertore di una pratica politico-parlamentare «non distruttiva», non aveva trovato un appoggio unanime. Anzi. Silvio Berlusconi, in un momento particolarmente acuto della sua rigidità politica, schierò il centrodestra contro un uomo che – lo indovinava – non avrebbe fatto sconti sul piano del rispetto delle regole.
Per lui, e per Giuliano Ferrara, sarebbe stato meglio Massimo D’Alema, che infatti fu in corsa per un po’ di giorni: «Sapevo dall’inizio che si sarebbe finiti su Napolitano», disse questi a cose fatte.
Sette anni dopo, la situazione politica era persino peggiore di prima. Le elezioni del 2013, quelle della “non vittoria” del centrosinistra malgrado tutte le previsioni, consegnarono un Parlamento difficilmente governabile. Nella situazione di totale stallo, dopo le clamorose bocciature di Franco Marini e Romano Prodi (che Bersani pretendeva di far approvare in una riunione in un cinema per acclamazione, una modalità mai vista prima), i partiti convennero di chiedere a Napolitano un bis, in sostanza un prolungamento del mandato presidenziale che egli, pienamente consapevole che quella fosse l’unica strada per evitare un baratro istituzionale, alla fine accettò.
«I partiti lo hanno pregato in ginocchio», si scrisse. Ed era vero. Napolitano rimase molto colpito dal fatto che Berlusconi in persona si recasse al Quirinale per chiedergli di restare: un uomo con il quale i rapporti non furono mai distesi e che però, agli occhi del Presidente, rappresentava al di là della sua persona milioni di elettori e una importante storia istituzionale. Accettò, fu stravotato, e si permise di schiaffeggiare i partiti nel famoso discorso del giuramento.
Non voleva il bis, Napolitano. Come non vuole oggi Sergio Mattarella. Comprensibilmente egli chiede di “riposarsi”. Ma, purtroppo per lui e per fortuna del Paese, su questo non decide da solo. Come non decise da solo Giorgio Napolitano.