Solo un anno fa chi avrebbe mai dato per scontato che anche una cultura tradizionalista come la nostra potesse accogliere una forte trasformazione dei modelli organizzativi del mondo del lavoro e con una discreta velocità di adattamento alle circostanze?
Eppure, il dato di fatto ci attesta che un evento carico di forza dirompente come la pandemia ancora in pieno corso a livello globale è riuscito anche in un contesto industriale e produttivo classico come il nostro, e in pochi giorni, non solo a far guardare allo smartworking come un modello utile a far fronte all’emergenza, ma anche e soprattutto come una soluzione praticabile in ottica di lungo periodo.
Sebbene io ritenga che siano ancora in molti a pensare erroneamente che ad emergenza finita si tornerà a lavorare secondo le vecchie regole che tanto ci rassicurano con il loro profumo di normalità, questi dovranno tuttavia mettere in conto come minimo una delusione ma molto più probabilmente un ulteriore mutamento di prospettiva.
Investendoci con la sua imprevedibilità, che in realtà era già stata ampiamente prevista dai molti studi scientifici predittivi prodotti da istituzioni internazionali di altissimo lignaggio, l’epidemia da Covid-19 ha solo impresso una forte accelerazione ai processi di cambiamento che erano già in atto da tempo, favorendone appunto l’adozione immediata.
Anche se certamente ci saremmo auspicati venisse conseguito senza dover pagare questo doloroso tributo di perdite e lutti universali, è un risultato oramai scontato.
Infatti, già da qualche tempo abbiamo appreso che nel nostro Paese molte grandi aziende, e non solo quelle appartenenti al mondo tech per loro natura più allenate al cambiamento, hanno previsto nei loro piano strategici di voler continuare a adottare il lavoro agile anche per il futuro.
Quale sarà allora lo scenario futuro dell’occupazione?
Secondo le stime Ocse, l’accelerazione dei processi di obsolescenza di competenze, mansioni e professioni data dalla crisi pandemica potrebbe sì causare una perdita di posti di lavoro compresa tra un milione e 200mila e un milione e 400mila ma sicuramente potenzierà la richiesta di profili di competenze e conoscenze compositi che siano in grado di gestire la complessità tecnica, tecnologica, organizzativa e gestionale.
A livello nazionale alcune previsioni indicano nelle professioni legate alla cultura, alla comunicazione, ai servizi di cura sia di carattere sanitario sia di altro genere, all’insegnamento e alla formazione, quelle che registreranno una sicura crescita. Sarà decisiva allora una crescita di competenze sociali e relazionali, di ascolto, di comprensione.
Dunque, mutuando una profonda e magnifica battuta tratta dal famoso monologo del film «Il grande dittatore» di Carlie Chaplin «più che di macchine ci serve umanità».
E a proposito di macchine di umanità e di trend da saper leggere, una recente notizia riportata dal Wall Street Journal racconta che la nota catena di negozi statunitensi Walmart ha licenziato i propri robot.
Infatti, i distributori automatici installati in più di 1.500 punti vendita si sono visti staccare la spina.
La perdita del lavoro – scrivono – è derivata dal successo ottenuto dal servizio che permette ai clienti di ritirare i prodotti ordinati online direttamente in negozio. Uno stile di acquisto e di vita scelto dopo l’esplosione della pandemia.
Oggi viviamo in un’epoca in cui i mutamenti avvengono in tempo reale, in un qui e ora nel quale quello che sembrava soltanto probabile potesse accadere entro il 2045 è praticamente sicuro se non superato, e le previsioni si confondono quasi regolarmente con la realtà già in corso.
Il Pianeta si sta modificando a ritmi mai visti quindi la tecnologia, dopo aver rotto un tabù dopo l’altro nell’arco di un solo trentennio, è ora al bivio cruciale: perdersi per sempre in una sorta di autodeterminazione incontrollata o tornare alla sua essenza originaria, che individua nell’essere umano la migliore delle tecnologie mai esistite su questo Pianeta.
Noi esseri umani restiamo pur sempre il motore delle trasformazioni in corso, ma se ci limitiamo a adattarci alla situazione, rinunciando a orientare le ondate rivoluzionarie del nostro tempo verso l’interesse generale, rischiamo di rimanerne travolti.