New wayCome Londra sta provando a reinventarsi

La City è stata, per certi aspetti, più devastata dalla pandemia rispetto ad altre zone del Regno Unito. Per riprendere il trend di crescita economica dovrà rivedere il regime di immigrazione post Brexit, fornire nuovi servizi per i lavoratori ibridi, calmierare affitti e prezzi degli immobili e colmare le enormi diseguaglianze di reddito tra la popolazione

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Reinventarsi in tempi di turbolenza. È questo il solo obiettivo che, secondo un articolo del Financial Times, Londra si deve prefiggere per il prossimo futuro.

Reinventare il modello lavorativo, il sistema sociale e urbanistico: ripensare alle priorità che il Covid ha imposto sui cittadini britannici. Perché proprio Londra più delle altre città? «Perché la City Hall è stata, per certi aspetti, più devastata dalla pandemia rispetto ad altre zone del Regno Unito», scrive il giornale britannico.

Londra è stata molto più colpita dal Covid rispetto a qualsiasi altra regione britannica: «su 127.000 morti a livello nazionale, quasi 15.000 sono stati nella capitale dell’Inghilterra. Sono stati persi più posti di lavoro, con un aumento di 5,2 punti percentuali delle persone che richiedono l’indennità di disoccupazione o il reddito universale. E più persone sono state licenziate, per un totale di 710.800 fino a fine febbraio, il 2% in più rispetto alla media nazionale», spiega il Ft.

Il governo nel frattempo sta cercando di tamponare, come il resto dei governi degli Stati membri, l’emorragia lavorativa e produttiva, ma l’entità del danno è talmente grande da aver sollevato interrogativi fondamentali sul futuro di Londra e sulla sua capacità di recuperare la sua traiettoria di crescita mantenuta per oltre 30 anni.

A chiederselo è anche Chuks Ibe, dipendente di una sartoria londinese intervistato dal Financial Times, che in questo momento si trova oberato di ordini arretrati e di nuove commissioni dovute al rientro di massa negli uffici, dopo l’allentamento delle restrizioni voluto da Boris Johnson. Tuttavia, a lungo termine, se la forma di lavoro da casa diventerà la norma, la domanda di abiti potrebbe diminuire. «Tutto è cambiato e dobbiamo vedere quali saranno le ripercussioni», dice Ibe.

Londra, a partire dal “big bang” finanziario della metà degli anni ’80, è cresciuta fino a diventare una delle città più importanti del mondo, un centro mondiale per la finanza, la giustizia, la tecnologia, la cultura e la cucina. Adesso, però, gli imprenditori attratti dal benessere e dalle opportunità della città – che comunque mostrano fiducia nella capacità di ripresa di Londra – si chiedono se l’obiettivo sia il ritorno al “business as usual”.

A questo si aggiunge l’ombra della Brexit. «Se un rimbalzo da Covid è abbastanza difficile, nuove rigide restrizioni che regolano le relazioni commerciali e di immigrazione del Regno Unito con l’Europa potrebbero mettere fine al dinamismo di Londra, limitando al contempo la capacità del settore finanziario», scrive il Ft.

Per quanto riguarda i “migranti economici”, durante la pandemia l’8% dei 10 milioni di abitanti ha abbandonato la capitale, e di conseguenza i posti di lavoro. Molte aziende sono allarmate per un’incombente carenza di manodopera. «La domanda è: quanti migranti ritorneranno?», dice Andrew Carter, amministratore delegato del think tank Center for Cities.

Nel suo libro “The Nowhere Office”, l’autrice e imprenditrice Julia Hobsbawm, per esempio, sostiene che i «modelli di lavoro più flessibili rischiano di minare il modello di agglomerazione che ha guidato la rigenerazione del centro di Londra per decenni e reso fattibile il trasporto di massa».

Quel modello si è basato su più di un milione di persone che ogni giorno sono andate a lavoro e hanno fatto circolare denaro nelle aree urbane. Dinamiche che oggi molto probabilmente cambieranno. «Londra non perderà il suo splendore culturale, ma la sua capacità di generare reddito», afferma Hobsbawm.

Quello che manca, inoltre, è un focus politico sulla Capitale britannica. Boris Johnson sta cercando di consolidare il guadagno del partito conservatore alle elezioni generali del 2019 conquistato nelle ex roccaforti del “muro rosso” laburista, situate nel nord dell’Inghilterra. Da questo deriva il programma del primo ministro per livellare le disuguaglianza regionali, e il messaggio implicito diretto a Londra, i cui anni di agio e attenzione incondizionata sembrano essere alle spalle.

«Ma se guardiamo in avanti, il solo recupero non è sufficiente. Londra non continuerà ad essere una “vacca da reddito” a meno che non investiamo in infrastrutture e rinnovamento», dice al quotidiano un alto politico laburista.

In questo momento di crisi, si comincia comunque a intravedere uno spiraglio di ripresa. Il lancio di successo del programma di vaccinazione contro il Covid-19 e l’allentamento delle restrizioni hanno fatto ripartire il centro della città: i bar di Londra si sono riempiti, i ristoranti stanno assumendo di nuovo e i quartieri da Acton a ovest, a Brixton a sud, e Kentish Town a nord, si stanno ripopolando.

Eppure c’è ancora molto da recuperare, come dimostra il basso afflusso nelle stazioni della metropolitana. «Con il governo che continua a consigliare alle persone di lavorare da casa, Bank, una stazione che serve la City di Londra, ha recuperato solo il 12% del suo traffico pendolare pre-pandemia», secondo Transport.

Ma non solo. A risentire di una ripartenza graduale è anche il Canary Wharf, il quartiere finanziario, e il quartiere centrale dello shopping, che nonostante sia tornato in attività è privo di turisti che sostengono le vendite. «L’economia di Londra sta affrontando una tempesta perfetta», dice Sadiq Khan, il sindaco laburista. «Il Covid-19 ha bloccato enormi settori della nostra economia di consumo quotidiana – solo lo scorso anno abbiamo perso quasi 11 miliardi di sterline in spese turistiche nel centro di Londra – mentre la Brexit sta senza dubbio danneggiando la nostra reputazione e competitività globale», continua il primo ministro.

Il tasso di povertà assoluta a Londra era a livelli preoccupanti già prima della pandemia, con 2,5 milioni di persone – il 28% della popolazione – che vivevano a basso reddito, rispetto al 22% nel resto del Regno Unito. «Dobbiamo garantire che la ripresa porti con sé maggiori opportunità per tutti i londinesi», afferma Khan. «Dobbiamo anche garantire che, man mano che la nostra economia cresce, i posti di lavoro che creiamo siano buoni e adeguatamente retribuiti».

Il lato oscuro della città, infatti, c’è e durante l’emergenza sanitaria ha subito un furto colpo. Ad Haringey, il quartiere più povero – a nord-est della capitale – l’entità della domanda in un banco alimentare gestito dalla chiesa è vertiginosamente aumentata. «Il numero di famiglie bisognose è aumentato di sei volte nel corso della pandemia» scrive il giornale britannico.

Proprio per questo motivo Nims Obunge, pastore anziano che corre contro Khan come indipendente nelle elezioni per diventare sindaco di Londra, sta cercando di immaginare come potrebbe (ri)emergere una Capitale diversa. «Una grande opportunità si realizzerà solo quando faremo in modo che tutte le nostre varie comunità si sentano parte del gioco», dice Obunge.

Come? Rivedendo i canoni degli affitti, sia per le imprese che per i residenti. Calmierando i prezzi degli immobili e sistemando il regime di immigrazione post Brexit che, per ora, è governato da un sistema a punti introdotto a gennaio e pensato per favorire le persone altamente qualificate.

«La pandemia ha messo in luce le profonde disuguaglianze che conoscevamo anche prima e che abbiamo visto manifestarsi nelle nostre comunità per molto tempo», afferma Georgia Gould, presidente del gruppo trasversale di 33 membri delle autorità di Londra e leader laburista del quartiere di Camden. «Abbiamo uno dei distretti di innovazione più importanti del mondo a King’s Cross, e accanto ad esso ci sono alcune delle comunità più povere non solo del Regno Unito ma dell’Europa. Alcune persone si sentono come se fossero in un’isola di povertà contenuta in una teca di vetro», dice Gould.

Infine, il Financial Times fa il punto sul futuro delle vendite al dettaglio. Partendo con un consiglio: «Un forte calo degli affitti, sia nel settore commerciale che in quello residenziale, potrebbe aiutare la ripresa, richiamando imprenditori, artisti e altri lavoratori nei quartieri di Londra». L’immensa quantità di spazio commerciale disponibile nel centro di Londra «è solo la fase che anticipa il calo dei prezzi», afferma Nick Jones, fondatore e amministratore delegato di Soho House.

Molte aziende, in particolare ristoranti e negozi, hanno inoltre smesso di pagare gli affitti durante il blocco generale delle attività. E se la moratoria imposta dal governo sugli sfratti dovesse concludersi a giugno come previsto, c’è il rischio che molti di loro non potranno permettersi di riaprire o finiscano per investire le loro entrate in arretrati per l’affitto.

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