L’importanza di tenere aperto un canale di comunicazione con Mosca è una cosa che Rose Gottemoeller conosce bene, dal 1977, quando come primo lavoro venne assunta come linguista in una stazione di controllo satellitare a Fort Detrick, nel Maryland.
Stati Uniti e Unione sovietica avevano deciso di trasferire su satellite le comunicazioni della famosa “linea rossa”, aperta dopo la crisi missilistica di Cuba del 1962, e lei doveva essere pronta a battere su delle tastiere analogiche in cirillico qualsiasi messaggio urgente che tramite un satellite sovietico sarebbe arrivato sin dentro al Cremlino.
Il cavo che precedentemente collegava la Casa Bianca con Mosca, posato nel 1963 per evitare al mondo una catastrofe nucleare, era stato abbandonato poiché veniva regolarmente tranciato dagli aratri dei contadini finlandesi, ignari della sua presenza in quanto segreto militare.
In quegli anni di relativa calma la linea non venne mai attivata ma per Rose Gottemoeller fu l’inizio di un dialogo con Mosca durato tutta la sua carriera fino al posto vice segretario generale della Nato dal 2016 al 2019.
Un dialogo, quello sul controllo dell’arsenale nucleare, complicato e spesso osteggiato dalla capitali stesse, ma tenuto sempre in vita con un unico scopo: evitare l’utilizzo intenzionale, o peggio ancora accidentale, di armi di distruzione di massa.
La carriera da negoziatrice di Gottemoeller culmina con la nomina a capo negoziatore per la parte americana nelle trattative sul trattato sulla riduzione delle armi nucleari NewSTART firmato da Stati Uniti e Russia a Praga l’8 aprile 2010.
Il trattato decennale, esteso due mesi fa a causa della mancanza di agibilità per negoziarne uno nuovo, fissa il limite di 1550 tra testate nucleari attive per ciascuna superpotenza e limita a 800 il numero di vettori nucleari come i missili balistici intercontinentali, i sottomarini lanciamissili e i bombardieri pesanti.
Dietro il successo dell’accordo voluto da Obama e Medvedev, oltre le capacità negoziali delle due squadre, ci fu anche lo zampino del celebre vulcano Islandese Eyjafjallajökull la cui eruzione bloccò i voli di mezzo continente e impedì ai russi di abbandonare il tavolo in un momento critico. Per raccontare la strada che portò alla firma finale Gottemoeller sta per pubblicare in america il suo libro “Negoziando il NewSTART” con Cambria Press.
Le relazioni bilaterali Stati Uniti-Russia stanno deteriorando di giorno in giorno, il rinnovo dell’Open Sky Treaty, in discussione in questi giorni, è dato praticamente per spacciato, hai mai paura di aver negoziato l’ultimo trattato?
No, mai. Ricevo questa domanda molto spesso, per me è chiaro che i rapporti bilaterali tra la Russia e gli Stati Uniti, così come tra la Russia e tutti gli altri alleati della Nato, sono pessimi, e per una sola ragione, per colpa dell’atteggiamento russo. Ma è un problema che c’è sempre stato, ciononostante, sin dalla crisi missilistica di Cuba, Mosca e Washington hanno messo da parte le loro divergenze per negoziare limiti e vincoli per le armi nucleari. Credo che oggi la situazione non sia così grave come in passato, vi ricordate l’era del presidente Reagan e il discorso sull’impero del male?
All’epoca i russi erano convinti che avremmo trasformato un’esercitazione nucleare in un attacco su vasta scala all’Unione Sovietica, la comunicazione tra le due parti era pessima. Oggi vedo una situazione diversa grazie alle diverse linee di comunicazione aperte. Anche se l’atmosfera nelle rispettive capitali sembra una catastrofe, le due parti continuano a comunicare, hanno aperto una linea di dialogo tra Putin e Biden. Insomma per farla breve: oggi la situazione non è così grave come durante la guerra fredda.
Scenario rincuorante, ma al contempo sembra che sia proprio l’eccessiva comunicazione o addirittura il proliferare di nuovi mezzi di comunicazione a creare problemi nei rapporti bilaterali.
Bisogna essere consapevoli della qualità della propria comunicazione, ecco perché sono fondamentalmente convinta che la riservatezza debba essere sempre mantenuta nella misura in cui è possibile. A volte è un principio che non viene rispettato e le persone, o peggio i diplomatici stessi, iniziano a scambiarsi insulti su Twitter o sui social media e questo rovina l’atmosfera per qualsiasi trattativa. Penso che non ci siano progressi possibili con la diplomazia del megafono, nessun risultato può essere raggiunto negoziando attraverso i media tradizionali o i social media.
Una trattativa seria deve essere condotta in modo confidenziale, se entrambe le parti considerano seriamente ciò che fanno, si atterranno alla riservatezza, se non lo fanno è un segnale che non prendono sul serio il loro lavoro. A Washington c’è un detto: “puoi ottenere qualsiasi risultato a patto che non ti interessi che ti sia riconosciuto”.
Come hanno reagito i negoziatori russi al fatto che fosse una donna a trattare di armamenti?
Penso che la misoginia sia radicata nella mentalità russa ma certamente non solo in quella russa. Era qualcosa che mi aspettavo dalla mia controparte e a cui mi ero preparata. Spesso la gente pensa che diplomatici russi siano uomini capaci di tutto e pieni di trucchi, beh, non sono gli unici ad avere qualche trucco. Il mio è stato quello stabilire legami speciali con le donne del loro team, giovani donne di grande talento, tutte ovviamente sedute nelle seconde file.
Una volta, un membro della nostra delegazione era appena tornato da New Orleans, dopo il carnevale, con un un grosso sacco pieno delle tipiche collane di perline del martedì grasso. Ho deciso di portarne un grosso cesto alla delegazione russa a Ginevra, con scritto sopra “per le donne della delegazione russa”. Nei giorni successivi i diplomatici russi hanno iniziato a chiedermi scherzando ma insistentemente perché non avessero ricevuto le perline anche loro, mentre le donne ridacchiavano. Sono piccoli giochetti, solo per sbilanciare un po’ la tua controparte ma necessari a creare un clima di fiducia reciproca.
Come siete riusciti a mantenere un clima di calma e rispetto mentre i due Paesi si scambiavano insulti e accuse, cosa tiene i negoziatori a con i piedi per terra?
Il nostro “reality check”, l’evento che ha aperto l’era dei negoziati è stata la crisi missilistica di Cuba che ha portato il mondo sull’orlo della distruzione nucleare. Fu davvero uno shock sia per il Cremlino che per la Casa Bianca, rendersi conto che potevamo incenerirci a vicenda con armi di distruzione di massa. Quella nozione ci ha spinto per oltre 60 anni a impegnarci nei negoziati. Ma ora vedo che questa nozione sta svanendo, in particolare per il pubblico più ampio, sia che si trovi negli Stati Uniti o in Russia o in Europa, l’orrore delle armi nucleari non viene più preso in considerazione, non porta più i manifestanti in strada.
C’è molta attenzione sugli “stati canaglia” come la Corea del Nord. Pyongyang si è impegnata su una moratoria dei test nucleari e questo è importante, in quanto si tratta dell’unico Paese che ha testato un’arma nucleare nel secolo in corso, c’è molta anche attenzione sull’Iran. Ma al di là di questi due casi, il resto della attenzione sugli arsenali nucleari tende a finire in basso nell’agenda dei media.
L’equilibrio nucleare è ancora un struttura che si poggia su due soli lati?
L’amministrazione Trump ha cercato di cambiare questo assioma, perché desiderava portare la Cina al tavolo dei trattati. La Cina ovviamente sta modernizzando il suo sistema di armi nucleari, non solo missili balistici intercontinentali ma anche missili a lancio da sottomarini e altri armi strategiche.
C’è una preoccupazione giustificata riguardo al desiderio di Pechino di migliorare il suo arsenale nucleare, ma allo stesso tempo Stati Uniti e Russia possiedono ancora oltre il 90% delle armi nucleari nel mondo, circa 4000 ciascuno, mentre la Cina, stando al Pentagono, ne possiede circa 250. Credo che dobbiamo guardare con attenzione ma non farci prendere dal panico su ciò che la Cina sta facendo con il suo arsenale nucleare.
L’Europa sembra quindi essere fuori dai giochi, quale è stato l’atteggiamento degli alleati Nato rispetto alle trattative sul nucleare?
Posso portare il mio punto di vista da vice segretario generale della Nato tra il 2016 e il 2019 e quello della mia precedente esperienza come sottosegretario di Stato americano tra il 2014 e il 2015. Durante il periodo in cui ero sottosegretario di Stato ho cercato di lavorare a stretto contatto con gli alleati della Nato per coinvolgerli nelle trattative sul controllo delle armi nucleari, molte delle quali, per altro, sono proprio puntate sul vecchio continente.
All’epoca l’amministrazione Obama iniziò una trattativa per introdurre vincoli anche alle testate nucleari “non strategiche”, noi le chiamiamo armi nucleari tattiche, che sono tra i sistemi che la Nato e i russi schirano Europa e ovviamente eravamo preoccupati per la reazione del russi. C’era una preoccupazione enorme tra gli alleati a causa dell’opposizione popolare alle missioni nucleari della Nato, e non c’era interesse a sollevare la questione. Sarò onesta con voi, l’ho trovato a tratti scoraggiante perché ho avuto problemi a sollevare la questione con tutti i paesi Nato in Europa, non ne volevano sentirne parlare. Quando arrivai alla Nato le cose erano cambiate, nel 2016 [dopo l’annessione da parte della Russia della Crimea e lo scoppio del conflitto in Est-Ucraina ndr] i Paesi Nato avevano iniziato a capire che il tema doveva essere affrontato.
Ci può dire qualcosa di più specifico sull’atteggiamento italiano?
Per quanto riguarda gli Stati membri della Nato, non posso né confermare né negare la presenza di armi nucleari strategiche, quindi non posso dire nulla di specifico su trattative con i singoli Paesi. Ma ripeto tutti i paesi Nato, Italia inclusa, erano particolarmente riluttanti a partecipare a discussioni, o anche solo esprimere una posizione con Mosca riguardo alle testate strategiche.
Il NewSTART generò un momento positivo nelle relazione tra Mosca e Washington, potrebbe un nuovo trattato riuscire nello stesso miracolo?
Certamente, credo che il processo positivo di regolamentazione degli armamenti, sia che si tratti di armi nucleari sia che parli di armi convenzionali, possa portare uno slancio positivo nelle relazioni bilaterali. È un processo che aumenta la fiducia reciproca e la prevedibilità reciproca, quindi penso che tali negoziati possano in futuro avere nuovamente un effetto positivo. Al contempo però vorrei ricordare che nel 2009, quando il presidente Obama entrò alla Casa Bianca e, non dimentichiamo, al Cremlino sedeva Dmitri Medvedev, c’era un ambiente complessivamente positivo, si lanciava il cosiddetto “reset” delle relazioni Usa-Russia.
Al momento, purtroppo, il rapporto è molto negativo e il pensiero di lavorare insieme su diversi dossier è semplicemente irrealistico. Ma sono contenta che il presidente Biden e il presidente Putin, nella loro recente telefonata, non abbiano parlato solo di cooperazione in questioni strategiche, ma abbiamo anche parlato di cooperazione sull’Afghanistan, de-escalation in Ucraina e cambiamento climatico. Ci sono diverse prospettive su cui è possibile collaborare per migliorare il rapporto, ma questo dipenderà dal comportamento di Mosca. I recenti scandali di spionaggio, come quello accaduto in Italia ad esempio, provano che il gioco sporto di Mosca non si è fermato, e questo non rende le cose facili.
Non facili ma possibili, è ancora importante intavolare un negoziato con i russi?
Sì, lo è. Dobbiamo continuare a parlare con Mosca se vogliamo limitare l’utilizzo delle armi nucleari, che sono, non scordiamocelo, delle terribili armi di distruzione di massa. Se vogliamo farlo nell’interesse di tutti, non possiamo permetterci di non dialogare l’uno con l’altro.