Una vicenda che ha il sapore del già visto: un produttore che su Facebook si sfoga e scrive che il suo vino, ancora una volta, non è stato ritenuto idoneo dalla commissione preposta all’assegnazione della Denominazione di Origine Controllata (e Garantita, in questo caso). Un vignaiolo che denuncia la rivedibilità del campione in assaggio a causa di “un’anomalia di carattere microbiologico” e al tempo stesso che pubblica le analisi, perfette, dello stesso vino.
Lo sapete come funziona, no? Tutti i vini DOC/DOCG prevedono che questi vengano assaggiati affinché rispettino i parametri organolettici previsti dal disciplinare di riferimento. Un piccolo gruppo di tecnici (produttori, enologi, raramente sommelier o altre figure professionali) si riunisce su base periodica per assaggiare i vini del territorio in cui questi operano. Un sistema che è nato per tutelare il consumatore in un periodo in cui la qualità dei vini era molto diversa da quella di oggi ma che dopo tanto tempo è arrivato a sortire l’effetto opposto, o quasi: il rischio è infatti quello di un’eccessiva omologazione dei vini DOC/DOCG, visto che tutti quelli che escono dagli standard condivisi della commissione di assaggio vengono più o meno sistematicamente “bocciati” con l’effetto, per i produttori, di declassarli a IGT, vini a Indicazione Geografica Tipica. Ogni regione italiana ha eccellenti testimoni di questo fenomeno, produttori anche famosissimi che si sono visti costretti a rinunciare alla propria DOC/DOCG di riferimento.
Ci pensavo anche qualche giorno fa leggendo Beaujolais, volume pubblicato da Armando Castagno e (caso di studio) distribuito unicamente attraverso il suo profilo Facebook. Nel raccontare le peculiarità dei disciplinari di produzione di questa importante regione francese sottolinea che: «Diversamente che in Italia, nei cahiers de charge delle AOC francesi non si fa infatti parola delle “caratteristiche organolettiche al consumo”, dribblando così gli effetti tra lo straniante e il comico talvolta sortiti dei nostri, che le prevedono spesso in modo così generico o soggettivo da svuotarle di significato (ad esempio “colore rosso rubino, odore gradevole e vinoso, sapore asciutto, armonico”)».
E ancora, questa volta nel contributo all’interno dello stesso libro di Michele Antonio Fino, Professore Associato di Diritto Romano e Diritti dell’Antichità presso l’Università di Scienze Gastronomiche: «Infine, veniamo a quell’articolo IX che definisce gli esiti delle tecniche enologiche, ma fa meno di quella autentica mostruosità italica che è ormai la previsione di caratteri organolettici standard, cui deve corrispondere il relativo esame finalizzato al rilascio dell’idoneità alla DOC/DOCG. Non leggiamo nulla circa i colori, gli aromi e i gusti dei vini: tutta l’attenzione del disciplinare è dedicata ai parametri chimici, inseriti allo scopo di assicurare al consumatore di non acquistare vini che non abbiano svolto la fermentazione malolattica o presentino spunto acetico. Da lì in poi, insomma: superata questa soglia minima in termini di tecnica e sanità, sarà il produttore fare le proprie scelte, sviluppare le proprie peculiarità, creare la propria originale relazione con un pubblico di acquirenti e appassionati. La differenza con quanto avviene in Italia è abissale. La previsione di termini organolettici di riferimento nei nostri disciplinari consente a commissioni che sono costantemente governate da esponenti di una o al massimo poche sensibilità (prevalgono in esse, di norma, enologi ed enotecnici) di giudicare il lavoro dei produttori e di limitarne l’espressione in un modo che non solo non è più confacente alla moltiplicazione dei gusti fra i consumatori ma addirittura minando le possibilità economiche di sviluppo del settore vitivinicolo».
Il vino in questione, quello di cui ho letto qualche giorno fa, è il Montefalco Rosso di Raína. Una bella realtà di Montefalco gestita con entusiasmo dal giovane e talentuoso Francesco Mariani, una delle stelle della denominazione. Un vino che non esiterei a inserire sempre tra i 10 più importanti della denominazione, per conoscerla al meglio.
In breve: quando questo sistema sarà riformato sarà sempre troppo tardi.
Un post fondamentale: “Il casino nel Consorzio del Prosecco Superiore riguarda tutta la viticoltura italiana”. Una sintesi di quello che sta succedendo all’interno del CDA del Consorzio Tutela del Vino Conegliano Valdobbiadene Prosecco, terreno di scontro tra pochi grandi che detengono il grosso delle vigne e tantissimi medio/piccoli produttori, i cui interessi sono spesso opposti: «Il presente del Prosecco fotografa la viticoltura italiana di oggi. Le denominazioni di origine sono un retaggio di una viticoltura che non rappresenta più la situazione attuale della nostra enografia. Oggi che la posta in gioco è smisurata gli interessi dell’industria del vino confliggono per forza di cosa con quelli dei piccoli vignaioli, imbottigliatori o meno: non è possibile una mediazione e nella frizione si erodono margini di libertà della viticoltura di qualità». Che piacere leggere Fabio Pracchia (seguitelo sempre, la sua è una delle voci fondamentali del giornalismo del vino italiano).
Fernando Pardini è uno dei più attenti osservatori del vino, soprattutto toscano. Il suo commento ai Brunello di Montalcino 2016 e Riserva 2015 uscito su L’Acquabuona si aggiunge alla breve lista dei post più preziosi sul tema segnalati nei mesi scorsi.
Club Oenologique sul Brunello di Biondi Santi. Non serve vero vi dica ancora quanto mi piaccia questa testata, vero?
Tante le riflessioni che in questi mesi si stanno facendo sulle fiere del vino e sulle moltissime trasferte, soprattutto oltreoceano, che i produttori erano abituati a fare prima della pandemia. Ancora non c’è la percezione di quanto, pare tuttavia inevitabile che le cose siano destinate a cambiare forse anche molto nel prossimo futuro. In un post dal titolo “Come trasformerei le fiere del vino” Angelo Peretti delinea uno scenario possibile “per superare l’obsolescenza del sistema fieristico”.
Ancora Angelo: “Carrefour in Francia ha il suo Prosecco Rosé”.
A proposito, qualcuno pensava non fosse sinonimo di successo? Pink Prosecco shortage predicted this year.
Secondo la Regina il 2020 è per Bordeaux l’anno della svolta.
Un interessante contributo di Gae Saccoccio sui difetti del vino (naturale): “Qualche considerazione sui difetti del vino bevendo un Riesling ossidato di Pierre Frick”.
Tannico, il maggiore e-commerce italiano del vino, ha acquisito la quota di maggioranza di Venteàlapropriété, grossa piattaforma francese (34 i milioni fatturati nel 2020). Un’operazione che non solo consolida il sito fondato nel 2012 da Marco Magnocavallo, venduto a Campari proprio l’anno scorso, ma che lo proietta con decisione in una dimensione europea, la vera grande sfida degli operatori del settore, nel futuro. Va da sé che in parte i 2 cataloghi andranno se non a fondersi quantomeno a trovare delle convergenze, con vini francesi che prenderanno la strada italiana e (forse) viceversa. Così proprio Magnocavallo nel comunicato stampa che comunicava l’operazione: «Siamo contenti di poter iniziare a lavorare insieme al team di Venteàlapropriété che continuerà a seguire quanto di eccezionale è stato fatto negli ultimi anni e che permetterà inoltre a Tannico di avere accesso a una raffinata selezione di vini francesi che arricchiranno il catalogo sul mercato italiano». Questo il punto centrale, mi sembra: una notizia che a lungo termine potrebbe non far dormire sonni sereni a quegli importatori che nel corso degli ultimi decenni hanno sempre vissuto una posizione di forza. Non solo Tannico trova così un canale preferenziale di approvvigionamento, sorpassandoli, ma sono anche sempre di più i privati che acquistano a prezzi agevolati vini francesi, spagnoli, etc. direttamente da quegli e-commerce che fanno base in Francia, Spagna, etc. e che sono organizzati per spedire in Italia, ovvero la stragrande maggioranza.
Vi ricordate il pezzo di Eater che avevo segnalato il mese scorso dedicato agli abbinamenti, e al loro superamento? “È ora di abbandonare le rigide norme per abbinare vino e cibo dettate dai sommelier: parola di sommelier”, Dario De Marco su Esquire ci ha fatto un gran bell’articolo che sposa e rilancia in toto la tesi di Bianca Sanon. Evviva!
Parlo raramente di ristoranti (magari un giorno parleremo dello stato della critica, in Italia) ma questa mi pare interessante, notizia che esce dal tracciato di quel fine dining che conosciamo bene e che incontra il mondo brassicolo: “Matteo e Giovanni Faenza raccontano Mogano, il ristorante del birrificio Ritual Lab che ambisce alla stella”.
What I Learned Starting a Wine Import Company During a Pandemic. Una bella storia di successo.
Ancora Armando Castagno, qui alle prese con il racconto del vino simbolo di Orvieto: il Campo del Guardiano di Palazzone.
Personal preferences versus professional evaluation: why we need to distinguish them. Un gran pezzo di Jamie Goode.
Della brutta vicenda del vino definito come “annacquato dall’UE” da parte della maggioranza delle testate italiane non c’è niente da aggiungere vero? Su Linkiesta abbiamo denunciato per primi che si trattava di un brutto caso di fake news, e che se i quotidiani avessero approfondito di più la fonte forse non si sarebbe arrivati a farlo diventare tema di scontro anche politico. Su Intravino poi ho spiegato la vicenda dal punto di vista del suo sviluppo, dove è nata e come è finita nei titoli anche del Corriere della Sera.
Modalità autopromozione: ON. Come comunica il vino? Quanto costa un influencer? C’è vita oltre ai social? Molte domande rimarranno per sempre senza risposta, per tutte le altre c’è La Retroetichetta, ovvero il nuovo podcast che ho il piacere di registrare insieme a 2 grandi professionisti, Francesco Minetti e Graziano Nani. Lo trovate qui e su tutte le piattaforme ed app che normalmente usate per ascoltare i podcast, la seconda puntata uscirà entro la prima settimana di giugno (e poi via così, una volta al mese).
Grazie per aver letto fino a qui. Ci sentiamo giovedì 17 giugno, ciao.
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