C’è una vicenda molto grossa che nelle ultime settimane ha investito il mondo della birra craft (artigianale) americana e di cui qui si è parlato poco, Dissapore a parte. Provo a riassumerla molto in breve: tutto è nato a partire da alcune storie su Instagram di Brienne Allan, dipendente di Notch Brewing, famoso birrificio di Boston, nel Massachusetts. Dopo aver subito l’ennesimo commento sessista sul lavoro (dove, dopo mesi, era appena tornata a lavorare “in presenza”) ha chiesto ai suoi follower di raccontarle casi simili all’interno della cosiddetta industria della birra. In poche ore si è scatenato un putiferio: sul suo profilo nelle storie in evidenza è infatti possibile leggere le centinaia (!) di risposte che ha ricevuto e rilanciato in pochissimo tempo, testimonianze di un mondo — come era forse prevedibile — straordinariamente maschilista, in diversi casi misogino. In particolare, tante le testimonianze che facevano nomi e cognomi, con tutto quello che questo significa in termini di popolarità e reputazione per le realtà citate. Tempo qualche giorno e questa ondata che è stata definita come il #metoo della birra è diventata l’argomento al centro dell’agenda, anche a livello nazionale. Dal Boston Globe al San Francisco Chronicle, fino al Washington Post. Ci sono state dimissioni, licenziamenti e un gran numero di scuse pubbliche, dimostrazione dell’impatto che questa storia ha avuto e sta ancora avendo sul movimento craft. Certo, da una parte c’è la grande criticità di accuse che vivono e muoiono solo sui social media, in larga parte anonime e da cui è pressoché impossibile difendersi. Dall’altra è però incoraggiante vedere con che velocità negli Stati Uniti storie come questa riescano ad avere un impatto pressoché immediato (apparentemente) su tutta un’industria, cosa forse impensabile qui da noi.
Questa lunga introduzione per segnalare il gran pezzo che ha scritto qualche giorno fa una delle più brave giornaliste del food italiane, Giorgia Cannarella, su Vice: Com’è lavorare nel mondo della birra artigianale quando sei una donna. Un articolo ricco di testimonianze, tanto lungo quanto significativo su cosa voglia dire per birraie, esperte del settore e publican lavorare nel piccolo mondo della birra italiana.
Ma parliamo di vino: un tuffo nel passato e nella storia meno recente del vino italiano attraverso alcune tipologie e alcune bottiglie particolarmente rappresentative. Alfonso Cevola e 10 Wines that Forever Changed the How the World Sees Italian Wine.
«Ora raffrontiamo i vini più venduti con quelli più premiati e tra le Dop (Docg e Doc insieme) troviamo solo Alto Adige Doc e Sicilia Doc, tra le Ipg solo Terre Siciliane Igt e Toscana Igt.» Perché i vini più premiati non sono i più venduti? Un interessante pezzo di Alessandro Torcoli di Civiltà del Bere che affronta uno dei grandi temi del vino, la grande distanza che esiste fra pubblico e critica.
Why Etna wine is so hot right now, su Club Oenologique.
Inside Blaufränkisch’s Global Comeback, su SevenFifty.
Se pensate che il vino sfuso sia solo quello che viaggia in damigiana sulle vecchie Panda nei paesini della provincia italiana vi sbagliate di grosso. Su VinePair Stephanie Cain scrive di un un enorme fenomeno globale di cui si sa pochissimo ma che coinvolge molti milioni di ettolitri che vengono trasportati tra Paesi e che poi vengono confezionati prima di essere venduti, in loco, spesso in cartone ma anche in bottiglia. Le famose “private label”.
Ancora su WinePair, Jamie Goode: Are We Entering the Post-Natural Wine Era? «While natural wine has grown as a movement — and still exists for some as an exclusive club of which to be a part — it has remained a small niche when the extent of global wine production is considered. But because it also emerged at a time when there have been changes in attitude in the mainstream wine industry, its real impact has been much larger.» Considerazione laterale: WinePair testata sempre più di riferimento.
Per spiegare l’illustrazione di Mari Kinovych di apertura: una bottiglia dell’Enoteca Pinchiorri di Firenze è stata venduta durante un’asta a 900mila euro, era una Mathusalem (6 litri) di Romanée Conti del 1985. La cifra più alta di sempre per una singola bottiglia.
Una bella panoramica di Simone Di Vito su Intravino sulle Menzioni Geografiche Aggiuntive della Produttori di Barbaresco. Io di solito team Asili ma che bel bere, in generale.
Eric Asimov molto intelligentemente va oltre quello che c’è scritto sull’etichetta e se deve scrivere di Chianti Classico non si fa problemi a segnalare, tra gli altri, i vini di Giovanna Morganti e di Martino Manetti. Quelli di Podere Le Boncie e di Montevertine sono da molti anni vini che vengono etichettati come IGT e non, appunto, come Chianti Classico nonostante si trovino ovviamente all’interno dei confini della denominazione. This Summer, Make It Chianti Classico, sul New York Times.
È molto probabile che nelle scorse settimane anche voi abbiate sentito parlare di biodinamica a causa del grosso clamore mediatico causato da alcuni riferimenti a questo tipo di agricoltura all’interno di un DDL sul biologico in discussione in Senato alla fine di maggio. In particolare, la senatrice a vita Elena Cattaneo sembra aver preso la questione particolarmente a cuore e non ha mancato su praticamente tutte le testate cartacee (e televisive) di affermare quanto per lei questa sia pratica da stigmatizzare il più possibile. La questione è ovviamente articolata, basta per esempio leggere Enrico Bucci sul Foglio e Piero Bevilacqua sul Manifesto per capire quanto drammaticamente distanti possano essere le posizioni sul tema di persone molto preparate e intelligenti. Nel marasma segnalo il solito pezzo di Angelo Peretti, uno dei miei riferimenti italiani sul vino, che molto banalmente chiede alla comunità scientifica di fare un passo oltre, e di provare a capire.
«Se l’esperienza empirica (il bicchiere) mi dice questo, vorrei capirne il “perché”. Perché certi “vini biodinamici” sono particolarmente buoni? Che si gridi alla pseudoscienza e all’esoterismo non mi arreca nessun beneficio. Infatti, da parte di chi si professa fedele alla scienza (io lo sono, consumo paracetamolo, ibuprofene, valsartan e idroclorotiazide, e in più sono stato felice di potermi vaccinare contro l’influenza e contro il Covid-19), vorrei che ci si interrogasse su questo: perché? C’è empiricamente, in certi vini fatti da chi pratica la biodinamica, un’evidenza che porta con decisione nella direzione del pregio. Potremmo, per favore, concentrare su questo la nostra attenzione? Lo chiedo soprattutto a chi è in grado di studiare, di analizzare, di capire, di ricercare scientificamente.»
A proposito di biodinamica e di come siano sempre di più i produttori che si avvicinano ad alcune sue pratiche. Meet the Millennial woman modernizing one of Napa’s most exclusive wineries, Esther Mobley sul solito San Francisco Chronicle.
Is wine vocabulary too Eurocentric? Il linguaggio del vino è in continua evoluzione, di Jancis Robinson.
Carlo Macchi e la Toscana del vino, mio capitano. La migliore introduzione possibile all’annata appena presentata, la 2019, la trovate su Winesurf con una premessa fantastica, una di quelle che si possono permettere in pochi: «La 2019 in Chianti Classico e per il Chianti Classico è la migliore annata degli ultimi 30 anni». Wow.
Questo è grosso, anche in termini di lunghezza (ma straordinariamente significativo). Un articolo della Master of Wine Sophie Parker-Thomson sulla relazione tra anidride solforosa ed ammine e su come queste vengono assimilate in modo diverso da persona a persona. La questione è molto importante perché, se non ho capito male, aggiungere un po’ della prima in fase di vinificazione aiuterebbe a rendere i vini non tanto più sani in assoluto ma certamente più facili da assimilare per il nostro organismo, cosa che però va contro i princìpi che muovono moltissimi vignaioli naturali che preferiscono lavorare in assenza di SO2, o magari aggiungerne solo molto poca e solo in fase di imbottigliamento. Spoiler: se la prende un po’ con proprio con il precedentemente citato Jamie Goode.
How Château Lafite Changed the World of Wine, ovvero come una notte del 2010 a Hong Kong ha rappresentato un punto di svolta nella storia recente dei vini, non solo di Bordeaux.
Catastrophic Tank Collapse Destroys 250,000 Liters of South African Wine. Ops.
Jacopo Mazzeo sulla rinascita del Taurasi: After Tragedy, Italy’s Taurasi Wines Rise Again.
Alla sezione “guide utili su regioni che non conosciamo così bene”: A Guide to the Wines of Languedoc and Roussillon, su Wine Enthusiast.
Ancora Francia, ma Parigi: cosa si sta bevendo in città, cosa è in e cosa è out. Emily Monaco su Pix.
Vi ricordate della straordinaria alzata di scudi da parte di praticamente tutti gli attori della filiera e di una parte della politica italiana a proposito della possibilità di aggiungere acqua a quei vini che hanno subito un processo di dealcolazone? Ne avevo scritto sia su Gastronomika che su Intravino, notizia peraltro comunicata in modo molto fazioso da parte di Coldiretti e ripresa da moltissime testate in modo errato. Ebbene, a distanza di un mese e dopo la tempesta stanno timidamente cominciando ad emergere voci che vedono il vino senza alcol come una grossa opportunità di mercato, su cui discutere.
C’è un nuovo podcast in città: scritto e narrato da Eugenio Signoroni, già curatore della Guida alle birre d’Italia e di Osterie d’Italia di Slow Food Editore, si chiama Lievito Madre e si presenta come un podcast di analisi, critica e approfondimento sul cibo in Italia. Le prime 3 puntate: Il segreto del lievito madre, appunto; Cibo a chilometro zero; L’invenzione della carbonara: come nasce una tradizione.
Questa è buona in vista del mare, almeno per chi andrà in Grecia: A Tasting Tour of the Greek Islands’ Best Natural Wineries.
Ciao, grazie per aver letto fino a qui. Io mi chiamo Jacopo e scrivo questa newsletter in diverse forme ormai da diversi anni. Per questo, per tutto il 2021, è appuntamento mensile ospitato da Linkiesta. Se avete consigli o commenti mi trovate su quasi tutti i social, ma soprattutto su Instagram. A presto, al prossimo 15 luglio.