All’armi siam fratelliLa condanna del Ventennio non basterebbe, la destra ha riflessi fascisti (come i Cinquestelle)

Galli della Loggia, come altri prima di lui, ha chiesto a Giorgia Meloni di condannare fermamente l’avventura di Mussolini, ma così finge di non capire qual è la vera natura del suo movimento. Questo dimostra anche scarsa coscienza del paese, perché anche i grillini hanno posizioni simili

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Forse esistono altre motivazioni per cui appare incongruo richiedere che Giorgia Meloni e i suoi manipoli formulino sul fascismo il giudizio di condanna reclamato da Galli della Loggia sul Corriere. Perché non c’è solo quella, effettivamente risibile, secondo cui la leader di Fratelli d’Italia ha diritto di assolversi dalla richiesta siccome “manco era nata”, o per i bei programmi politici che destituirebbero di fondamento i sospetti di incompiutezza democratica che assediano la credibilità di quel partito.

C’è anche quest’altro, infatti: che il riflesso fascista di quella forza politica è attuale e concreto, e promana per così dire in purezza dagli atteggiamenti e dai propositi che tuttavia – et pour cause – non sono oggetto delle sorveglianze democratiche che sottopongono a scrutinio le “formalità” della destra italiana.

Si vuole che questa donna, madre, cristiana, italiana sappia essere tutte queste cose in modalità democraticamente accettabile, cioè a dire con qualche pitturata retorica che aggiunga al tricolore almeno uno striscio d’arcobaleno e così è perfetta: de destra, ma ‘nzomma presentabile.

Poi può continuare il suo comizio sugli usurai di Bruxelles, in coro con i sottosegretari e i senatori 5 stelle con cui il Pd organizza l’affascinante avventura, e sui negri che sbarcano tranquillamente mentre i figli d’Italia menano vita grama, e sulle multinazionali straniere cui spezzare le reni: è sufficiente che giuri sull’incompatibilità del fascismo con la belluria repubblicana e tutta quella roba è bell’e scriminata.

Ma davvero non è tutto. Perché il sostanziale fascismo di quella destra – denunciato quando chi la vota tende il braccio, ma lasciato correre quando si manifesta nelle cose quotidiane che non impensieriscono la vigilanza democratica – non è esclusivo di quella destra. E qui non si tratta di pretenderne l’assoluzione giusto perché una medesima condanna potrebbe formularsi contro altri: si tratta piuttosto di capire che non si intravede il fascismo di quella destra proprio perché non lo si riconosce da nessuna parte.

Il carattere nettamente neofascista del movimento fondato da Beppe Grillo – per combinazione guardato con compiacenza legittimante da chi oggi fa certi discorsi sulle impurezze di Fratelli d’Italia – costituisce una realtà sfuggente alle ricognizioni della tutela democratica, e occorre affidarsi al raffinatissimo giudizio secondo cui quei mentecatti non hanno preso il potere con il manganello e l’olio di ricino per capire che discutiamo di un punto di riferimento fortissimo di tutti i progressisti, altro che fascismo.

Se non erano abbastanza i balconi da dove si annunciava l’abolizione della povertà e il ministro travestito da secondino che metteva in musica il giorno indimenticabile del galeotto in ceppi, quindici mesi e una somma inedita di provvedimenti eversivi dell’ordine costituzionale avrebbero potuto interrogare certi osservatori sulla lieve ipotesi di infertilità civile rappresentata da quel bell’andazzo: ma niente, il problema è l’irresoluzione antimussoliniana di Giorgia Meloni e la sua incapacità d’interfaccio con le classi dirigenti, quelle del modello italiano. Non invece – perché questa una realtà un po’ più difficile da sistemare – il fatto che il fascismo di questa destra si giustappone all’altrui.