A metà strada tra Cortina e Venezia cresce l’uva glera, un vitigno a bacca bianca dai tralci color nocciola, che produce grappoli grandi e lunghi con acini giallo-dorati. Questa uva così diffusa è la base indispensabile nella produzione del prosecco, del quale la Glera costituisce almeno l’85% delle uve utilizzate.
È un vitigno cosiddetto “semiaromatico”, dove per aromatici si intendono i vitigni i cui vini ricordano al naso il profumo del frutto di origine.
Sino al 2009 era comunemente denominato “Prosecco”, poi con l’istituzione della DOCG Prosecco Superiore Conegliano-Valdobbiadene è stato adottato in via ufficiale il sinonimo “Glera” in modo da non confondere fra loro vitigno e vino.
Il Valdobbiadene Prosecco Superiore ha origine antica, addirittura precedente alla colonizzazione dei romani (avvenuta nel II secolo avanti Cristo), ed ha influito notevolmente sugli usi, i costumi, le tradizioni e l’economia delle comunità locali nell’arco di oltre dieci secoli.
L’epoca d’oro del territorio di Valdobbiadene e Conegliano è quella che comprende i secoli XV, XVI e la prima metà del XVII: da molti documenti risulta chiaro quanto fosse importante ed apprezzata la produzione enologica dei colli di Valdobbiadene e Conegliano, e come essa alimentasse un sicuro e redditizio commercio ed esportazione soprattutto verso i paesi tedeschi e verso Venezia. E anche la caduta della Serenissima nel 1797 non frenò però la volontà delle popolazioni locali di continuare il rilancio della viticoltura e dell’enologia.
La viticoltura è stata così importante per il territorio che queste colline sono state iscritte nella Lista del Patrimonio Mondiale come paesaggio culturale, soprattutto grazie alla particolare tecnica di coltivazione delle viti, con la “bellussera” che ha contribuito a comporre le caratteristiche estetiche del paesaggio.
La “bellussera”, ideata dai fratelli Bellussi per combattere la Peronospora alla fine dell’800, vista dall’alto costruisce una sorta di alveare fatto di rami e foglie, e prevede una disposizione geometrica delle piante di vite realizzata attraverso l’utilizzo di file di pali in legno alti circa 3 o 4 metri, le cui sommità, unite con fili di ferro, si incrociano formando una raggiera.
Un metodo tanto bello e scenografico quanto faticoso: le colline e questa tecnica di coltivazione, infatti, richiedono tuttora una viticoltura fatta esclusivamente a mano.
E ha preservato alcune aree del territorio, che non è completamente colonizzato dalle viti ma ha angoli di foresta, piccoli boschi, siepi e filari di alberi che servono da corridoi per collegare diversi habitat.
Su una di queste colline, incastonato tra i ricami di vigneti delle colline del prosecco, c’è il piccolo borgo di Santo Stefano di Valdobbiadene dove ha sede l’azienda agricola Le Colture, che sin dal 1500 è guidata della stessa famiglia, che ha deciso di cogliere l’occasione che dava la particolarità del territorio per dedicarsi alla viticoltura.
In questa valle luminosa, dove il sole è sempre presente, nel 1983 Cesare Ruggeri decide di vendere le sue vacche da latte e con i proventi avvia l’attività spumantistica, ed oggi è il depositario di uno straordinario patrimonio di esperienza, costituito da piccoli e grandi segreti produttivi, dalla conoscenza del territorio e delle sue uve alla sensibilità innata per la salute della vigna. Partendo da una base agricola non imprenditoriale e con un importante background di agricoltura, le uve di proprietà sono fondamentali anche oggi per questa realtà fortemente radicata alla terra.
Insieme al fratello Renato e con soli 8 ettari di vigneto Cesare Ruggeri inizia quindi nel 1983 a produrre il proprio vino da uve di propria produzione diventando ben presto un vero e proprio pioniere: «Negli anni ’80 – spiega Alberto Ruggeri – pochissimi a Valdobbiadene imbottigliavano il vino, semplicemente perché non era prassi: le uve si coltivavano per essere vendute. Mio padre, in questo, ha aperto una via diventando uno dei pochi a gestire l’intera filiera produttiva, dalla vigna alla bottiglia».
Oggi i tre figli di Cesare, Silvia, Alberto e Veronica sono impegnati a pieno ritmo nell’azienda Le Colture, dove hanno portato una ventata di entusiasmo e il necessario respiro innovativo tipico delle giovani generazioni, senza però dimenticare la tradizione familiare, l’amore per la propria terra e il rispetto per la storia.
Danno vita a prodotti di grande piacevolezza, come il Fagher brut, che deriva dalle uve coltivate nelle vicinanze di Conegliano, da un vigneto su un altopiano. Un vino ideale da aperitivo, o come abbinamento per primi piatti di verdure, con le sue note di frutta matura, erbacee, con un finale speziato, e la piacevolezza dell’acidità naturale.
O come Gerardo, dedicato al nonno, che è perfetto con piatti di pesce crudo ma anche come accompagnamento a secondi di carne bianca leggeri e fritti di pesce che hanno bisogno di freschezza e di pulizia del palato, che donano la sapidità finale, i sentori minerali. Un vino contemplativo, longevo grazie alla fermentazione più lunga e alla permanenza sui lieviti, che gli dona un sentore un po’ più “croccante”.
E poi il Cartizze, il più grande cru di questo territorio, che proviene da un terreno vocato, 107 ettari totali di cui circa 0,5 dell’azienda, in una vera e propria culla di luce e di sole, caratterizzato da viti vecchie a bassa resa che danno vita a vini dai sentori di frutta matura ma anche frutta secca, note speziate di vaniglia, quasi sentore di confetto. Il tutto sostenuto da una bella freschezza.
Da non bere con il panettone, come normalmente accade, ma da tenere come vino da degustazione, magari prima del dolce, e da assaporare con formaggi stagionati o con dolci secchi.
Le Colture rappresenta oggi un’eccellenza enologica in una delle aree più vocate d’Italia, che si può visitare anche grazie alla casa colonica con nove camere nel Montello, a ridosso del fiume Piave, all’interno di un vigneto di sette ettari: un’altra avventura per portare consapevolezza e far conoscere il territorio da vicino.
Ma il domani è ancora da scrivere e l’azienda ha l’obiettivo di diventare uno dei punti di riferimento nella produzione del Prosecco Superiore di qualità in Italia e nel Mondo. La diretta proprietà dei vigneti e la certosina attenzione con cui la famiglia Ruggeri affronta il lavoro in vigna e in cantina rappresentano le solide basi attraverso cui promuovere un nuovo storytelling per il Prosecco: un vino già simbolo del made in Italy a livello internazionale che però non è sempre stato percepito come eccellenza.
Alberto Ruggeri è convinto di poter costruire la nuova storia di questo vino: «Il territorio del Prosecco DOC è molto ampio, in tanti fanno un buon vino, ma la nostra ambizione e il nostro impegno quotidiano è quello di produrre un Prosecco Superiore immediatamente riconoscibile come una delle sue massime espressioni. Le Colture ha sposato il mondo Prosecco in tutte le sue aree con l’obiettivo, per ogni denominazione, di elevare il più possibile la qualità e la rappresentatività delle sue bollicine».