Il metodo costituzionaleL’avvitamento dei Cinquestelle e l’analfabetismo della democrazia

Le contorsioni interne dei grillini sono in gran parte riconducibili alle resistenze opposte da quella improvvisata collettività politica piegata al metodo padronale e dichiaratamente antidemocratico con cui Grillo e Casaleggio hanno preteso di sostituire la rappresentanza parlamentare. Per questo serve al più presto una legge sui partiti

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La crisi del Movimento 5 stelle documenta meglio di qualsiasi lezione di diritto costituzionale il senso degli articoli 49 e 67 della Costituzione.

Il primo dispone che i partiti concorrono «con metodo democratico» a determinare la politica nazionale e il secondo afferma che i parlamentari rappresentano la Nazione ed esercitano le loro funzioni «senza vincolo di mandato».

Il M5S ha creduto di poter fare a meno di entrambi i principi – non di rado violati nella prassi costituzionale italiana, ma, in precedenza, mai apertamente messi in discussione – e ha amministrato la rappresentanza parlamentare del 30% della Nazione senza alcun meccanismo di democrazia interna e piegando i propri parlamentari al servizio della ditta comproprietaria Grillo-Casaleggio.

Ma nell’occidente democratico (diversamente che in Corea, a Cuba o in Cina) i partiti politici non possono essere guidati né da proprietari, né da sedicenti garanti, né da improvvisati capi politici investiti dagli uni o dagli altri. 

Nell’occidente democratico i partiti sono associazioni di cittadini che concorrono alla vita politica del Paese e svolgono un ruolo costituzionale essenziale per la nostra vita democratica, non foss’altro che per la funzione di selezione della classe politica.

È indispensabile che quei cittadini impegnati, gli iscritti, gli aderenti ai partiti siano posti in condizioni di eleggere il loro segretario politico e i loro dirigenti, con metodo democratico, appunto. Cioè nel contesto di assemblee o congressi (che devono necessariamente periodicamente svolgersi, verrebbe da ricordarlo agli amici di Forza Italia) nel cui contesto possano essere presentate e apprezzate più candidature e dove, all’esito di competizioni e confronti aperti, gli aderenti possano scegliere quale direzione politica imprimere alla loro azione e chi investire della loro rappresentanza.

È altrettanto indispensabile che i parlamentari eletti siano liberi di esprimere i propri orientamenti politici, anche in dissenso dal partito di provenienza, affinché il Parlamento sia uno spazio di pensiero libero da condizionamenti, non eterodiretto, autenticamente rappresentativo degli elettori e del Paese.

Se questo non accade i partiti implodono, come sta accadendo al M5S.

In questo momento il partito con le più numerose delegazioni parlamentari è allo sbando, privo di una rappresentanza politica che soltanto una investitura democratica può conferire; le pseudo-elezioni in rete, teleguidate dal burrattinaio (o certificate dal garante, che è lo stesso), sono un’aspirina che non curerà la malattia.

Le contorsioni interne del M5S sono in gran parte riconducibili alle resistenze opposte da quella composita e improvvisata collettività politica al metodo padronale e dichiaratamente antidemocratico con cui Grillo e Casaleggio hanno preteso di sostituire il metodo della rappresentanza democratica, e che, ovviamente, Conte ha accettato e condiviso fin tanto che esprimeva la propria investitura, salvo riconoscerne l’impronta autoritaria nel momento in cui è entrato direttamente in conflitto con il c.d. garante. 

Di fronte a quanto sta accadendo sarebbe peraltro opportuno che i costituzionalisti riconoscessero di aver dato – fino a oggi – una lettura riduttiva dell’articolo 49 della Costituzione il quale non si limita (come in troppi hanno sostenuto, così concorrendo ad affossare i progetti di disciplina dei partiti) a imporre dall’esterno il metodo democratico e non violento alla iniziativa politica dei partiti, ma al contrario prefigura un modello di gestione interna della vita politica dei partiti, in difetto del quale un partito non può candidarsi a guidare il Paese.

Occorre, ed è ormai una emergenza democratica, una legge sui partiti che non si limiti a pretendere il rispetto di standard democratici dalle forze politiche che aspirino a partecipare della raccolta del 2 x 1.000 ma che quegli standard imponga almeno ai partiti che intendono partecipare alle competizioni elettorali.

Consiglio Direttivo ITALIASTATODIDIRITTO

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