Non si tratta dell’ennesimo stilista che firma la capsule di un pastry chef, né di una casa di moda che brandizza il packaging per una pasticceria, possibilmente a tema grande lievitato delle feste. Questa è, in verità, la romantica storia di un artista che ha imparato a riprodurre golosi dessert come fosse un professionista del dolce, un creativo del Medio Oriente affascinato da Roma e dall’Italia tutta che racconta le sue creazioni in ambito couture attraverso un caleidoscopio di peccati di gola offerto ai suoi avventori in transito. Ceci n’est pas une boutique. Come nell’intento di Magritte, da Maison Halaby l’abito non fa il monaco, così al civico 21 di Via di Monserrato, tra il manto di sampietrini della Roma rinascimentale e virtuosi vicini, tra un antiquario di cornici antiche, uno storico artigiano di biciclette, in forze dai tempi del dopoguerra, o la prima videoteca in Italia specializzata in cinema d’autore, c’è Maison Halaby, un luogo poetico dal personalissimo stile dove arte e ospitalità si contendono la scena. Subire il fascino di tali spazi è inevitabile.
Innamorato alla follia di questo rione, che tra l’altro è stato definito il distretto gourmet capitolino per l’alta concentrazione di indirizzi da fine dining, Monsieur Gilbert Halaby si è lasciato sedurre senza riserve dal coté aristocratico-bohémien del quartiere. Nella strada fucina di artisti, bottegai e artigiani del gusto si è sentito finalmente a casa cessando tutti i tentativi di fuga. Libanese di nascita ma romano d’adozione, l’ex studente di archeologia, prima di trovare il suo posto nel mondo si divideva tra Milano e Parigi, città in cui si è affermato in qualità di pittore, scultore, poeta, illustratore e designer conquistando nel 2011 il titolo di “Designer dell’anno” nella Ville Lumière, mentre l’anno successivo è stato nominato Talent Vogue per l’edizione italiana della rivista. Lo stilista giramondo ha trovato la sua musa ispiratrice nella wunderkammer della sua Maison dove espone pezzi unici: foulard di seta dipinti a mano, gli stessi annodati in tutte le foto che lo ritraggono, gioielli su misura, borse uniche che hanno generato un fedele seguito di collezionisti d’élite, tra cui la regina Rania di Giordania. Nel mezzo, altri capolavori gourmand in fatto di manualità e dolcezza che Gilbert verseggia sui social sotto le spoglie di sculture effimere. Solo a uno sguardo distratto questo potrebbe continuare a sembrare un eccentrico negozio di quelli che finiscono sulle riviste patinate di settore.
Come in una di quelle cartoline da “Vacanze romane”, sulla soglia della porta incorniciata da edera e cespugli rampicanti, non è difficile incrociare lo sguardo affabile di Gilbert con il suo inseparabile e fedele amico a quattro zampe, in quella posa che potrebbe ricordare la versione più raffinata di un oste vestito di tutto punto ben disposto a fare accomodare i curiosi. Si innesca, quindi, un meccanismo di riflessione più profondo del sussulto provato durante una sessione di shopping che teletrasporta in un’atmosfera culturale da salotto. Un invito alla lentezza più gentile nel modo in cui profetizza la novella cioccolatiera Vianne Rocher, amabile protagonista del cult dolciario Chocolat, “per queste cose ci vuole tempo”. Come nei più esclusi rendez-vous, l’ingresso è sulle note di musica classica, accompagnato da un effervescente calice di bolle francesi o, a seconda della stagione, da una fumante tazza di tè mentre il padrone di casa affonda il coltello tra gli strati della torta del giorno, senza prenderla a sciabolate come certi reali. Tra alzatine che espongono accessori di vestiario e una perenne infiorata di mazzi freschi, ecco spuntare cloche in vetro che si animano di buono a prima vista, o meglio, al primo morso con deliziosi dolcetti di ispirazione francese faits maison.
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Dalla crema rovesciata per antonomasia con un affondo che suggerisce un dejavù anni ‘80, all’ariosa e un po’ naif pavlova, per Gilbert «un viaggio nelle emozioni», un trionfo di frutti rossi che somigliano ad altorilievi ton sur ton immaginando di «sorseggiare tè alla menta sotto una tenda di una terrazza a Marrakech e sentirsi un sultano in un pomeriggio di settembre».
Monsieur Halaby è un amante della letteratura e delle arti, ma anche dei prodotti da forno e su Instagram condivide spesso le proprie ricette che, oltre a elargire come benvenuto, regala ai suoi colleghi negozianti. «Siamo una grande famiglia! Riconosco di essere libanese ma per metà mi sento italiano, qui ho capito davvero l’importanza di promuovere l’artigianato di qualità e sono grato alla comunità che mi ha accolto con slancio. Per me cucinare è un atto di amore, un’espressione del mio estro che curo allo stesso modo di una nuova collezione di moda. Poi, per i miei amici sono il pastry chef ufficiale di tutte le loro torte di compleanno!». Pasticciere per puro diletto, si ispira a ricette di stampo francese e tra stratificazioni, bagne alcoliche e coperture propone diverse varianti concedendosi qualche licenza. È il caso della tropezienne a modo mio con crema diplomatica ai fiori d’arancio e melograno o del babà al rum e dacquoise al limone preparato lo scorso Natale in occasione dei suoi 17 anni a Roma. Dando uno sguardo al suo catalogo gourmand predilige torte e altri bon bon evocativi e minimal q.b. che ama ricoprire con elegantissime glasse specchiate, spumose ganache e primizie di stagione.
«La tarte tatin è in assoluto la mia preferita tra i gusti alla frutta. Durante lockdown, il fruttivendolo di fiducia dove compro al mercato si rifiutava di vendermi le sue mele se non gliene avessi portata almeno una fetta». Una inclinazione, quella verso il mondo dolce, che lo ha spinto a perfezionarsi nel metodo, alla ricerca di nuove creazioni che soddisfino il senso del bello e del gusto, sfoggiando virtuosismi tecnici e trasognata predisposizione. «La torta alla crema che prediligo è al cioccolato e menta su un letto di frolla sablé. Finora ho utilizzato solo Valrhona ma ho appena acquistato una macchina per fare il mio cioccolato di fave di cacao per i miei futuri pasticcini». Con questo inaspettato lato goloso, (ri)scoperto durante il primo lockdown e ancora oggi assecondato, Gilbert ci insegna che nello sporcarsi le mani c’è vita, sia che si modelli argilla sia che si affondino le dita in quella farina disposta a fontana che attende solo di essere inondata con uova, zucchero e burro.