Un giudice a LussemburgoLo scontro tra Bruxelles e Varsavia e le prove generali di Polexit

La Corte costituzionale polacca ha contestato il primato del diritto comunitario su quello polacco. Spesso gli Stati membri non rispettano alcune specifiche norme del diritto Ue, ma è la prima volta che un tribunale nazionale ne mette apertamente in dubbio la prevalenza della Corte di Giustizia Ue. La Commissione ha aperto una procedura di infrazione per il mancato rispetto dei diritti Lgbti, ma finora né questi ultimatum, né la tentata applicazione dell’Articolo 7, hanno sortito alcun effetto deterrente

LaPresse

Una notizia deflagrante, dalle conseguenze potenzialmente sconvolgenti: mercoledì 14 luglio la Corte costituzionale polacca, notoriamente controllata dal governo ultra-conservatore guidato da Prawo i Sprawiedliwość (Diritto e Giustizia, PiS), ha contestato il primato del diritto Ue su quello polacco. Secondo la corte, alcune sezioni dei trattati comunitari sono incompatibili con gli articoli 2, 7, 8 e 90 della Costituzione polacca. E vanno quindi ignorate. 

Questa sentenza è il risultato finale di un processo iniziato dal premier Mateusz Morawiecki lo scorso marzo, quando il premier invitò direttamente il Tribunale costituzionale a esprimersi sulla questione. Considerato il grado di controllo dell’esecutivo su questo organo, in quell’occasione il governo sostanzialmente interpellò sé stesso. Julia Przyłębska è ritenuta così vicina al leader del PiS Jarosław Kaczynski che l’anno scorso il presidente della Corte costituzionale tedesca Andreas Vosskuhle definì il Tribunale costituzionale una “marionetta”. 

Fin dalla sua ascesa nel 2015, la coalizione capeggiata dal PiS ha introdotto svariate riforme del sistema giudiziario. Secondo i loro iniziatori, dei tentativi legittimi di ripulire un sistema corrotto e inefficace; secondo i loro critici, un tentativo (riuscito) di alterare l’equilibrio tra potere esecutivo e potere giudiziario. A oggi in Polonia non si può più parlare di giustizia indipendente.  

Poche ora prima che la Corte costituzionale polacca emettesse questa spiazzante sentenza, la Corte europea di Giustizia aveva intimato a Varsavia di sospendere l’attuazione di una sorta di camera disciplinare, introdotta di recente per monitorare la condotta dei giudici – ovvero, garantirne la lealtà verso il governo.   

Fino a oggi né questi ultimatum, né le procedure d’infrazione, né la tentata applicazione dell’Articolo 7, hanno sortito alcun effetto deterrente sulle iniziative autocratiche degli ultra-conservatori polacchi. A differenza dei colleghi ungheresi, spesso maestri nello spingersi fino all’estremo per poi fingere tatticamente di ritirarsi e negoziare così da una posizione di privilegio, le forze autocratiche che governano la Polonia da sei anni scelgono spesso lo scontro frontale con Bruxelles. 

Mai prima, tuttavia, in modo così plateale e sfacciato. 

Sul tavolo c’è adesso qualcosa di più di una disputa legale tra la Commissione e uno Stato membro. Nelle prossime settimane Bruxelles dovrebbe consegnare nelle mani del governo polacco un pacchetto da 57 miliardi di euro (tra sussidi e finanziamenti), nel contesto di quel NextGenerationEu per cui dovrebbe valere il principio del rispetto dello stato di diritto. 

Gli occhi dell’opinione pubblica comunitaria sono ora tutti puntati sulla Commissione di Ursula Von Der Leyen (e sugli Stati più influenti, Germania e Francia): il rischio è che, se gli autocrati polacchi la passassero liscia anche in questo caso, altri Stati potrebbero emulare la ribelle Polonia, innescando così un effetto domino di violazioni di un principio cardine come la supremazia del diritto Ue su quello nazionale. La credibilità delle istituzioni comunitarie, vincolata questa volta a un tema che solitamente garantisce un discreto potere negoziale (i soldi), è la posta in palio. 

Dalle loro reazioni a caldo, non pare che gli esponenti del governo polacco abbiano intenzione di fare marcia indietro, né che abbiano compreso la rilevanza di questo frangente. 

Le dichiarazioni sono tutte dello stesso tenore. Secondo Michał Wójcik, membro della cancelleria del premier, Mateusz Morawiecki, la Corte europea di Giustizia starebbe provando a “devastare il sistema legislativo [polacco]” e di minare la sovranità del paese. Così come Arkadiusz Mularczyk, deputato del PiS, ha sostenuto che il verdetto della corte comunitaria sia irrilevante in quanto “solo il Tribunale costituzionale può sospendere l’applicazione di provvedimenti legislativi riguardanti la giustizia”, sostanzialmente ribadendo l’idea che sia il diritto Ue a doversi piegare a quello polacco.  

L’opposizione non è rimasta a guardare. Kamila Gasiuk-Pihowicz (Piattaforma civica) ha affermato che a essere illegittimo sia lo stesso Tribunale costituzionale. Ha paventato pesanti perdite finanziarie per la Polonia: “È impossibile stare nell’Ue, ricevere fondi europei, senza applicare il diritto comunitario”, ha ricordato. 

Questa volta non sembra il solito gioco delle parti tra nazionalisti ed europeisti. C’è in gioco, sullo sfondo, la permanenza della Polonia nel consesso Ue. Sono numerose le testate che hanno scritto di “Polexit dal diritto europeo”.

Se è pratica abbastanza frequente che gli Stati membri (alcuni in modo deliberato e sistemico come l’Ungheria) non rispettino alcune specifiche norme del diritto comunitario, è la prima volta che un tribunale nazionale ne mette apertamente in dubbio la prevalenza. Su questo principio fondamentale si è finora retto tutto l’impianto giuridico dell’Ue. Scardinarlo significa scardinare l’Ue per come si è evoluta fino a questo momento. 

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