Per il bene di tuttiGreen pass all’italiana

Da qualche giorno il certificato verde è diventato obbligatorio per usufruire di una serie di servizi e attività, tra queste la possibilità di mangiare nei ristoranti al chiuso. Molti ristoratori si sono adeguati subito a questa misura, mentre altri continuano a opporre resistenza

Leggere e ascoltare resoconti e interviste nei primi giorni di applicazione del green pass fa cadere le braccia. Sembra che proprio non ce la facciamo a capire l’importanza di ciò che stiamo affrontando, ormai da più di un anno, sembra che ci siano ancora difficoltà a tenere comportamenti essenziali per il bene di tutti, un bene che riguarda, anzitutto, la salute, ma che, inevitabilmente, garantisce il benessere sociale ed economico.
Eppure tutto quello che abbiamo vissuto pare che, per alcuni, non basti e, al di là delle folcloristiche manifestazioni di chi vorrebbe convincerci che l’introduzione del green pass sia una limitazione della libertà individuale, si osservano comportamenti e si ascoltano dichiarazioni che sottolineano soprattutto grande egoismo.
Il governo ha introdotto il green pass affinché sia possibile garantire un ulteriore impulso alla ripartenza, per tutelare ancor di più la salute, offrendo maggiori opportunità per le attività che potranno accogliere tutti senza nessun patema d’animo per addetti e clienti. Inoltre, non è una legge nata per essere eterna, anzi, se verrà applicata bene, durerà il tempo necessario per raggiungere quell’immunità di massa che ci permetterà di vivere senza più limitazioni.
Chi opera nella ristorazione dovrebbe essere grato per questa premura e, fortunatamente, i più lo sono e si sono adeguati subito, senza lamentarsi, consapevoli del miglioramento che porterà negli affari. Tuttavia non è così per tutti.

Recentemente, all’interno di un programma radiofonico, il responsabile di un noto esercizio di piazza San Marco a Venezia ha sottolineato per tre volte che il controllo dei green pass fa perdere tempo a loro e ai clienti. Ora ci domandiamo, ma un avventore che si siede a un tavolo di uno storico bar, nella città più bella del mondo, proprio per godere dell’esperienza, per assaporare non solo le prelibatezze servite, ma gustare con tutti i sensi il momento che sta vivendo, ecco, costui che fretta potrebbe avere?
Ancor più grave, invece, un comportamento segnalato da più parti e ulteriormente verificato da chi al ristorante ci va spesso, specie ora che è in vacanza: Lorenzo Biagiarelli.

 

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In pratica se cerchi di prenotare un tavolo e hai il green pass vieni più o meno invitato caldamente a sederti all’interno in modo che i posti all’esterno siano a disposizione per chi è senza certificazione. Sgombriamo il campo: è legittimo che il ristoratore cerchi di ottimizzare i propri spazi, ma in questo modo la discriminazione ricade su coloro che hanno scelto di vaccinarsi, o di eseguire un tampone rapido, coloro che credono nel concetto di comunità, che riconoscono il primato della scienza, pensano al bene della collettività come superiore a quello dell’individuo.
Insomma, questo atteggiamento sembra l’opposto di quello che un imprenditore lungimirante dovrebbe tenere oggi.
Bravi, e quando farà più freddo e non si potranno più accogliere coloro che si presentano senza certificazione? Pensano forse questi astuti esercenti, che in inverno il cliente con green pass si sarà dimenticato di quella volta in cui, ad agosto, è stato trattato peggio?
Cari ristoratori, se volete che si arrivi alla prossima stagione con tanti clienti felici, spiegate a coloro che vorrebbero cenare al ristorante senza certificazione né tampone, che li accoglierete solo se ci sarà posto e che forse, vista la virulenza delle varianti, sarebbe meglio se se ne stessero a casa (o si vaccinassero anche loro), perché, in ogni caso, sapere di mangiare al tavolo accanto al quale siedono avventori potenzialmente contagiosi, non è piacevole per chi ha fatto tanti sacrifici e ha scelto di tutelare se stesso e il prossimo.

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