Tecno-populismiMonti e Conte uniti nella lotta contro il governo, una strana coppia meno strana di quanto sembri

L’uomo del rigore insinua che il vero responsabile delle politiche di austerità non fosse lui, che anzi avrebbe voluto addolcirle, bensì Draghi. Ma in fondo non è la prima volta che il professore finisce per giocare di sponda con i populisti

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Ad arricchire il dibattito sulla natura del governo guidato da Mario Draghi e sulla sua reale ispirazione politico-ideologica – sua del governo, ma anche sua del presidente del Consiglio – è arrivato ieri, sul Corriere della sera, un singolare intervento di Mario Monti. L’occasione era un non meno singolare anniversario: i dieci anni dall’invio della famigerata lettera della Bce (anniversario che peraltro cadrebbe oggi, 5 agosto, e non ieri: si vede che Monti il giorno dopo aveva da fare). La lettera, come è noto, era indirizzata al governo Berlusconi, ma soprattutto era firmata dall’allora presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, e dal suo successore designato, Mario Draghi. 

Monti coglie dunque l’occasione per ricordare che «se il governo e la maggioranza dell’epoca fossero stati in grado di realizzare una politica economica credibile», evitando l’impennata dello spread, «gli acquisti di titoli del Tesoro italiano da parte della Bce non sarebbero diventati indispensabili, la Bce non si sarebbe eretta a “podestà forestiero” travalicando il proprio mandato, il governo non si sarebbe piegato, come fece, ad una precipitosa soluzione eterodiretta». 

Colpisce la durezza delle formulazioni, tanto più in un amante dell’understatement come il professor Monti, che qui sembra davvero farsi prendere la mano, tra un’accusa alla Bce di essere andata oltre «il proprio mandato» e la denuncia di una «precipitosa soluzione eterodiretta» che, se non fosse Monti a scrivere, nessuno faticherebbe a identificare nel governo Monti.

Il seguito è però ancora più significativo. Perché a giudizio di Monti, o perlomeno del Monti che firma l’articolo pubblicato ieri dal Corriere della sera, «sotto il profilo del riequilibrio di bilancio, o dell’austerità, che per anni avrebbe reso più difficile la vita degli italiani e avvelenato il dibattito politico, la Bce peccò decisamente per eccesso». 

Lo fece nel dicembre 2011, quando «il presidente Draghi chiese il fiscal compact per una più stretta disciplina sul disavanzo e sul debito pubblico di ogni paese». E lo fece in particolare con l’Italia quando, nella famosa lettera, «Trichet e il suo successore imposero, e il governo Berlusconi accettò, che per il nostro paese, e solo per esso, l’impegno ad azzerare il disavanzo venisse anticipato dal 2014 al 2013». Impegno che il «governo successivo» – come modestamente lo definisce Monti, che ne era il capo – chiese di riconsiderare, sentendosi rispondere dai vertici europei, «consultati in via riservata», che l’ipotesi non era praticabile perché «l’annuncio di un rientro meno veloce di quello imposto dalla Bce sarebbe stato preso malissimo dai mercati».

I lunghi virgolettati consentono a ciascuno di farsi il proprio giudizio, e a me di fornire una libera traduzione, che il lettore può liberamente accettare o rifiutare. E la mia traduzione è che qui Monti ci sta rivelando come a suo giudizio il vero responsabile di quella terribile politica di austerità che «per anni avrebbe reso più difficile la vita degli italiani» non fosse lui, che anzi cercò in tutti modi di addolcirla, ma Draghi.    

Inoltre, prosegue l’ex presidente del Consiglio, «vi è oggi un consenso sul fatto che le politiche di bilancio volute dall’Unione europea e dal Fondo monetario internazionale siano state troppo restrittive e procicliche, abbiano cioè aggravato la recessione in corso» con conseguenze pesanti, «soprattutto in paesi come la Grecia». 

E qui davvero è difficile trattenere un moto di stupore: andrebbe perlomeno ricordato che qualcuno queste critiche le muoveva anche allora, anche in Italia, anche in esplicita polemica con Monti e con i suoi molti sostenitori dell’epoca, e non pare che né l’uno né gli altri in simili occasioni mostrassero il minimo dubbio, né mi pare ne abbiano mostrati nemmeno in seguito, almeno fino a ieri.

Dopodiché – continua la selettiva ricostruzione dell’ex presidente del Consiglio – il cambio di linea della Commissione europea avrebbe concesso molta flessibilità, a parere di Monti usata male, «per spesa corrente e trasferimenti a varie fasce di elettorato» (questa è chiaramente per Matteo Renzi e i suoi 80 euro), mentre il quantitative easing della Bce, cioè sempre Draghi, avrebbe assicurato liquidità praticamente illimitata e tassi d’interesse molto bassi o negativi. 

Insomma, prima si imposero politiche troppo restrittive, quando al governo c’era l’incolpevole Monti, e dopo, quando al governo c’era Renzi, si cadde nell’eccesso opposto, consentendo spese fin troppo allegre. Di qui il monito del professore a non sottovalutare il rischio, proseguendo sulla linea delle politiche espansive, di riprodurre le condizioni della crisi del 2011.

Lo so, lo so. L’ho già fatta troppo lunga, riportando in dettaglio quello che appare come un esercizio di memoria selettiva di cui non è difficile intuire, se non il movente politico, ammesso che ci sia, perlomeno il movente psicologico.

C’è però in questo intervento un ultimo elemento che mi pare utile sottolineare. Ed è il trasparente tentativo di colpire l’immagine di Draghi, mettendogli addosso i panni del tecnocrate, dell’uomo della troika e delle politiche di austerità, o se preferite, più semplicemente, del nuovo Monti. Stupisce che tale tentativo – scopertamente portato avanti da Giuseppe Conte e dal Fatto quotidiano, e appena meno scopertamente anche dal partito di Pier Luigi Bersani – sia avallato dallo stesso Monti. 

Ma forse non dovrebbe stupire poi così tanto. Molti di quelli che le sagge critiche alle politiche di austerità riportate oggi da Monti le muovevano anche allora, contro Monti – Stefano Fassina e Matteo Orfini nel Pd, per esempio, e un pugno di commentatori di sinistra come Michele Prospero sull’Unità – usavano spesso, all’epoca, la definizione di «tecno-populismo», a indicare proprio la tenaglia tra una politica economica regressiva imposta con argomenti sostanzialmente antipolitici e le campagne contro «la casta» promosse dal Movimento 5 stelle, che giusto in quegli anni, sotto il governo Monti, passò dal 5 al 25 per cento. 

Fa piacere, in un certo senso, vedere che i principali campioni di quella infelice stagione si ritrovino ancora dalla stessa parte, e fortunatamente, almeno per ora, in posizione assai meno incisiva.

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