«Il gusto del futuro»Il piano di Draghi riuscirà a salvare l’Italia?

Il Presidente del Consiglio ha illustrato in Parlamento un progetto di ripresa ben dettagliato e di facile comprensione. I partiti difficilmente potranno dire di no, ma dovranno anche fare un deciso salto di qualità e mostrarsi all’altezza della sfida

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Il discorso di Mario Draghi sul «gusto del futuro» entra di diritto nelle pagine salienti della recente storia italiana perché non è una comunicazione burocratica né tanto meno una roba da comizio, ma un dettagliato piano per la rinascita del Paese e insieme un gigantesco investimento di fiducia negli italiani.

La citazione che in apertura del suo discorso il premier ha fatto di Alcide De Gasperi ha voluto indicare, appunto, che siamo esattamente dentro lo spirito di una ricostruzione post-bellica nel quale lo Statista – ieri Alcide De Gasperi, oggi Draghi – richiama «l’onore e l’onere di preparare l’Italia di domani».

Il Piano di ripresa e resilienza, così come lo ha esposto il presidente del Consiglio a Montecitorio, non è dunque un elenco gelido di cifre e tabelle, come lo avrebbero fatto i freddi Giulio Andreotti o Mario Monti, ma qualcosa che è «dentro la vita degli italiani».

E se è lecita un’impressione, va detto che il doveroso puntiglio esplicativo del premier non si è mai disgiunto dall’evocazione dei drammi veri dei soggetti indeboliti dalla pandemia: gli anziani, i disabili. E certo i giovani, le donne, il Sud.

Vorremmo cioè sottolineare il respiro sociale che anima questo Pnrr così come lo ha illustrato Draghi, con tratti – si passi l’approssimazione del termine – liberalsocialisti: si guardi alla sottolineatura del discorso del presidente del Consiglio a proposito della necessità di rimuovere «i freni alla concorrenza» giacché le risorse non devono essere appannaggio «dei monopoli»: e qui, si dirà, c’è tutta la grande cultura economica della Banca d’Italia nonché del maestro del premier, l’indimenticato Federico Caffè.

Ma se è consentito accostare il discorso di Draghi alla Camera con quello da lui tenuto al Museo della Resistenza a Roma, a via Tasso, ne viene fuori una ispirazione cristiana, sociale e progressista che non fa sconti sulle colpe del passato – noi italiani non fummo tutti “brava gente” – ma non lesina fiducia per ciò che potremo fare come Paese.

L’Italia ha dunque un piano molto forte, arrivato con vari interventi a 250 miliardi, davvero una Grande Occasione per vincere due guerre in un colpo solo: la riparazione dei danni materiali del Covid e la ristrutturazione in chiave contemporanea delle strutture fondamentali del Paese.

Il Piano è dettagliato. Anche a un non esperto appare di facile comprensione, e la polemicuccia imbastita a inizio seduta da Fratelli d’Italia e Nicola Fratoianni circa la scarsezza di tempo per visionarlo non pare destinato a smuovere le masse.

Difficile non cooperare per la riuscita di questa scommessa storica, impossibile per partiti, correnti e camarille varie fare con il Pnrr come si fa di solito con le Finanziarie, quando si ripropone a ogni inverno il più bieco assalto alla diligenza: qui si tratta di rimettere in piedi un Paese, non di vincere le elezioni provinciali.

È qui il salto di qualità che Draghi chiede implicitamente al sistema politico (sottolineiamo qui la centralità delle Regioni nella gestione di miliardi e miliardi). Lui il suo l’ha fatto, e lo farà – meno male che la governance sarà a Palazzo Chigi e non frantumata in mille pezzi come voleva Giuseppe Conte: ora sta agli altri cooperare per realizzare l’impresa. Vale per tutti partiti, di governo e di opposizione.

Dunque, ieri si è avuta la conferma di un Draghi costruttore di un new deal italiano attraverso quelle che una volta si chiamavano “riforme di struttura”, bussola socialista al tempo del primo, troppo breve, governo di centrosinistra: serve l’impegno corale – ha sottolineato il premier – per realizzarlo e per ritrovare quel «gusto del futuro» che deve infondersi in un popolo depresso ma vivo, colpito ma non piegato.