Oro della CartabiaLa fine delle conferenze stampa-gogna è un piccolo passo verso il ripristino dello stato di diritto

Il governo vara il decreto legislativo per riaffermare la presunzione di innocenza anche nella comunicazione di pm e forze dell’ordine. Era ora

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Per anni mi sono chiesto come fosse possibile conciliare con il principio costituzionale della presunzione d’innocenza lo spettacolo regolarmente offerto da tutte le televisioni e da tutti i giornali, con semplici indagati già minutamente descritti in mondovisione, in solenni conferenze stampa, come criminali incalliti, non meno vili che esecrabili, capaci delle azioni più spregevoli. Prima ancora che l’accusato avesse potuto anche solo provare a difendersi, prima ancora che un processo fosse nemmeno cominciato. Quando cioè la persona al centro di un simile diluvio di accuse, illazioni pseudopsicologiche e mostrificazioni para-letterarie, per non dire semplicemente di autentiche contumelie, sarebbe stata ancora per legge un “presunto innocente”.

Nella mia infinita ingenuità, mi sono sempre domandato come tutto questo potesse essere legale, e prima ancora moralmente accettabile, almeno per chi non dia semplicemente per scontata la colpevolezza di qualunque indagato, e l’infallibilità di qualunque pubblico ministero. La verità è però che almeno dal 2016 una direttiva europea relativa proprio alla presunzione d’innocenza ci chiedeva di porre rimedio almeno ad alcune delle storture più gravi.

Ed è quello che fa, finalmente, il decreto legislativo approvato ieri dal Consiglio dei ministri, che limita le conferenze stampa di pm e forze dell’ordine, che dovranno essere autorizzate dal procuratore capo in casi di particolare rilievo, e in cui le informazioni dovranno essere fornite «in modo da assicurare, in ogni caso, il diritto a non essere indicati come colpevoli fino a sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili».

Può darsi, considerate le abitudini inveterate della nostra magistratura e della nostra stampa, che la differenza più visibile e immediata sarà semplicemente il passaggio dal discorso diretto al discorso indiretto. Da articoli e servizi in cui il pubblico ministero dichiara che l’indagato mostra una particolare efferatezza criminale, con punte di autentico sadismo e spregevole viltà, ad articoli e servizi in cui il giornalista dirà che l’indagato ha mostrato una particolare efferatezza criminale, con punte di spregevole viltà e autentico sadismo.

Sembrerà una differenza da poco, e sarebbe certamente un piccolo passo per il giornalismo italiano, che può senza dubbio fare di meglio, ma sarebbe comunque, anche in questo caso, un grande passo in avanti per l’Italia e per lo stato di diritto, dal punto di vista sostanziale e anche dal punto di vista simbolico (e politico).

Insieme con l’intervento che ha cancellato l’orrore della riforma Bonafede sulla prescrizione, con tutte le difficoltà e i limiti di cui si è parlato fin troppo, il governo conferma dunque l’impegno nel riaffermare anche in Italia, anche nella giustizia, quei principi minimi di civiltà e umanità che caratterizzano le democrazie europee e occidentali. Un impegno per cui Marta Cartabia ha subito attacchi sguaiati, come del resto era da aspettarsi dai sostenitori di idee e pratiche medievali, quali la pubblica gogna e la tortura (da loro definite libertà d’informazione e doverose azioni di ripristino della legalità).

Qualcuno dice che proprio per questo Cartabia si sarebbe giocata le sue chance come prossima presidente della Repubblica. Nel caso, per quanto mi riguarda, andrebbe benissimo anche come regina.

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