Il pediatra con la pistola e l’avvocato con la fissazione di Roma antica. Il medico che prima nega e poi ammette di essersi presentato armato in ospedale, «ma mai in corsia» («Io non sono mai entrato in corsia con un’arma e neanche vestito da sceriffo a carnevale… io sono entrato con l’arma in ospedale, l’ho avuta addosso, ma mai in corsia e mai quando giro con i pazienti») e l’amministrativista che a ogni domanda sui problemi della capitale ricomincia a parlare di «Ottaviano Augusto».
I candidati della destra a Roma e Milano, Enrico Michetti e Luca Bernardo, sembrano usciti da un film di Mario Monicelli, neanche li avessero scelti apposta per confermare tutti i più antichi pregiudizi della sinistra, tutti i più abusati cliché su una classe dirigente, per dir così, dal grilletto facile e dalla preparazione approssimativa. Eccezion fatta, naturalmente, per tutto ciò che attiene a Roma e al culto della romanità – almeno per quanto riguarda Michetti – il che però non contribuisce certo a smontare il cliché, semmai lo rafforza.
Bernardo, il medico milanese, si era già fatto notare a metà luglio per le sue incongrue e assai poco scientifiche dichiarazioni sulla vaccinazione degli anziani: «Il mio consiglio è vaccinarsi, ma io sono un uomo della libertà e della libertà di pensiero, quindi devono decidere loro cosa preferiscono fare, l’importante è che quelli che noi stiamo vaccinando danno la copertura di gregge, che è la cosa più importante, anche per quelli che non si vaccineranno» (più o meno tutti gli scienziati del mondo sono da tempo concordi sul fatto che l’immunità di gregge non sia un obiettivo ragionevolmente perseguibile, data l’evoluzione delle varianti, e prospettarne l’imminente raggiungimento certo non è un modo intelligente di favorire le vaccinazioni, e dunque quella stessa minuscola possibilità di arrivarci davvero).
L’avvocato romano, Michetti, ha dato invece il meglio di sé in un recente confronto con gli altri aspiranti alla carica di sindaco. Raro caso in cui a rilanciare e diffondere gli interventi di un candidato non sono stati i suoi sostenitori, ma i suoi avversari (in particolare Carlo Calenda, che ne ha pubblicato una scelta niente male sui suoi canali social).
Si può anche non credere alla maliziosa ricostruzione di Salvatore Merlo sul Foglio, secondo la quale, nel confronto suddetto, Michetti avrebbe avuto addirittura le domande in anticipo, e le risposte preparate appositamente da Fratelli d’Italia (sarebbe un’aggravante non da poco, che confermerebbe come il vero problema non sia lui).
Si può anche non credere al crudele retroscena di Alessandro De Angelis sull’Huffington Post, con Giorgia Meloni in persona che se la prenderebbe col suo candidato – più suo che di qualunque altro esponente del centrodestra – in termini perentori: «Aho, mo basta con questa storia di Roma antica».
Certo però sembra proprio una nemesi, per il partito che ha riportato sulla scheda elettorale, nel suo simbolo, la fiamma del Movimento sociale. Una nemesi e anche un paradosso, considerando che Fratelli d’Italia è secondo molti sondaggi il primo partito italiano.
Qualunque cosa si pensi di Gianni Alemanno e della sua breve stagione da sindaco di Roma – io ne penso molto male, e non mi pare che in gran parte dei romani abbia lasciato un ricordo migliore – bisogna riconoscere che nel confronto con Michetti appare un gigante. Alemanno, che pure nella storia della destra missina aveva assai solide radici, appariva tuttavia ben più capace di presentare un’immagine diversa, meno ancorata ai cliché del passato.
Con tutte le sue ambiguità, i suoi doppi e tripli giochi, la Lega di Matteo Salvini, oltre a competere con Fratelli d’Italia sul terreno del populismo più radicale, cosa che a Salvini viene più che naturale, è capace di esprimere anche amministratori pragmatici come Luca Zaia o Massimiliano Fedriga, e ministri generalmente stimati come Giancarlo Giorgetti. Ma Fratelli d’Italia, oltre Giorgia Meloni, leader certamente abile e popolare, che tipo di classe dirigente esprime?
L’impressione è che Michetti non sia insomma un passo falso, un incidente di percorso, un caso sfortunato come possono capitare a tutti, ma un campione rappresentativo (campione statistico, s’intende) di tutto un mondo. E il fatto che sia un esponente della cosiddetta società civile, cioè qualcuno che si sono andati a scegliere apposta, e non un esponente di partito che in un certo senso si trovavano già in casa, non fa che rafforzare il sospetto.