«La biodiversità del mondo sta diminuendo più velocemente che in qualsiasi altro momento della storia umana e si stima che un milione di specie siano a rischio di estinzione» ha affermato il Guardian in un articolo dello scorso agosto intitolato “Biodiversity loss is a risk to the global financial system”, firmato da Geoff Summerhayes e Laura Waterford. Sulla scorta di una recente analisi globale sull’economia della biodiversità commissionata dal governo del Regno Unito, che ha evidenziato quanto il nostro sistema economico dipenda da essa, il quotidiano britannico fa notare come questo sia un fattore centrale per il settore finanziario. In special modo dopo che i convenuti allo scorso G7 hanno riconosciuto «con grave preoccupazione» che «le crisi senza precedenti e interdipendenti del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità rappresentano una minaccia esistenziale per la natura, le persone, la prosperità e la sicurezza».
Sottolineare che esistono potenziali parallelismi tra il rischio ambientale e le altre responsabilità degli istituti finanziari, come ad esempio l’antiriciclaggio, è un passo necessario. Secondo il Guardian il sentimento generale mira a responsabilizzare il settore finanziario anche nella gestione dei rischi economici associati al danneggiamento dell’ambiente, affidandogli l’onere di garantire di non tramutarsi in un canale che ha effetti deleteri sulla natura.
Un elemento a supporto di questa direzione arriverà anche dalla task force internazionale sull’informativa finanziaria relativa alla natura (Tnfd, o Task force on Nature-related Financial Disclosures), la cui nascita è stata annunciata nei mesi scorsi: avrà il compito, nei prossimi due anni, di elaborare uno standard globale per la reportistica sui rischi legati all’ambiente e alla biodiversità. Il nuovo centro di studio punta a fornire alle istituzioni finanziarie e alle aziende strumenti e criteri necessari per valutare rischi e opportunità legati all’impatto delle attività economiche sugli ecosistemi naturali.
In sintesi, il Tnfd avrà la capacità – almeno sulla carta – di deviare il flusso di capitale del sistema finanziario globale lontano da attività distruttive per gli ecosistemi o la natura, e indirizzarlo verso quelle che invece possono generare effetti positivi. Dato che questo progetto va ad integrare il lavoro fatto dalla Task force on Climate-related Financial Disclosures (Tcfd) costituita dal Finacial Stability Board nel 2015, un’opera determinante per l’integrazione della questione dei rischi finanziari legati al clima, ci si augura che abbia fortuna, anche grazie anche all’ampia platea di stakeholder che intende consultare a livello globale con l’obiettivo di costruire standard di trasparenza condivisi.
Sono molte realtà globali che oggi avvertono fortemente il bisogno di strumenti dedicati alla finanza per la natura, perché più della metà della produzione economica mondiale si basa proprio su questo. Che si tratti di una dipendenza moderata o totale, secondo i dati del World Economic Forum (Wef), dalla natura infatti vengono generati 44mila miliardi di dollari di valore economico.
E, oltre alle considerazioni più puramente ambientali e ambientaliste, come si potrà mai derivare valore se abbiamo già causato l’estinzione dell’83% dei mammiferi selvatici e del 50% delle piante, stando ai dati del Proceeding of the National Academy of Sciences (Pnas) statunitense?
Se proprio non riusciamo a vedere la perdita di biodiversità come un irreparabile autogol dell’umanità, proviamo a ritenerla un rischio significativo per la stabilità aziendale e finanziaria. Al contrario, intraprendere azioni per preservarla e tutelarla potrebbe generare – secondo il World Economic Forum – fino a 10.100 miliardi di dollari di valore aziendale annuo e creare 395 milioni di posti di lavoro entro il 2030.