Le tre parole più facili da pronunciare in sequenza sono: “non”, “si” e “può”. Non si può diventare una società totalmente a idrogeno – anche se il Giappone (la terza economia del mondo) progetta di farlo dal 2014. Non si può creare su larga scala un’industria di auto, navi, bus, camion a idrogeno – anche se in questo numero di Greenkiesta vedrete almeno 8 casi di prototipi già in atto o programmati da parte delle più importanti aziende del mondo. Non si può trasportare facilmente l’idrogeno – anche se due esperimenti condotti da Snam provano che si possono usare gran parte dei gasdotti esistenti senza dover creare da zero una rete di idrogenodotti. Non si può, ma si fa. E si farà sempre di più.
Certo, i problemi non mancano: il 96 per cento dell’idrogeno prodotto attualmente è del tipo “grigio”, cioè ottenuto con combustibili fossili, rilasciando anidride carbonica nell’atmosfera. E, certo, è difficile che nel breve periodo si imponga su larga scala l’idrogeno “blu”, perché la CO2 prodotta coi combustibili fossili deve essere catturata e immagazzinata in maniera continua ed efficace se vogliamo raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. E, certo, l’idrogeno “verde”, anche se completamente decarbonizzato grazie al processo dell’elettrolisi è una produzione ancora in una fase artigianale e gli elettrolizzatori, e cioè le speciali celle elettrochimiche alimentate da elettricità che separano l’idrogeno dall’ossigeno per creare energia, sono ancora costosi.
Tutto vero, per ora. Ma i professionisti dell’anti-idrogeno dimenticano di dire che i governi e le aziende del settore non investono più sull’idrogeno “grigio”, ma cercano di rendere ecologicamente più sostenibile quello “blu”. Dimenticano di dire che stanno aumentando gli investimenti per migliorare la tecnologia di cattura e stoccaggio della CO2 e che, secondo Global Ccs Institute, nel mondo esistono già almeno 26 strutture in grado di catturare 40 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, e altre 37 sono in costruzione o sviluppo. E se ne potranno creare di nuove e di migliori. Dimenticano di dire che creando in Europa diverse mega-fabbriche di elettrolizzatori si potrebbero attuare economie di scala in grado di abbassare il costo di queste vasche speciali, rendendo l’industria meno artigianale e creando nuovi posti di lavoro. Ma, soprattutto, la situazione non è immutabile. Vent’anni fa il mercato delle fonti rinnovabili sembrava costoso e inaccessibile. Poi, gli investimenti pubblici e privati hanno via via diminuito i costi dei prototipi. Perché non può accadere lo stesso con l’idrogeno “blu” e “verde”?
In più, c’è anche un altro aspetto da non sottovalutare: la grande capacità dell’idrogeno di essere un vettore energetico per lo stoccaggio. Infatti, le energie rinnovabili, come il fotovoltaico e l’eolico, sono per loro natura discontinue e non programmabili. Per capirci, se durante l’inverno è sempre nuvoloso o se non tira vento per un mese non basta fare la danza della pioggia. O, in questo caso, del sole. Ecco perché ci serve un vettore energetico, come l’idrogeno, che immagazzini l’energia prodotta e la conservi per quando ce ne sarà bisogno.
Possiamo scegliere di non scommettere sulla rivoluzione dell’idrogeno. Possiamo convincerci che sarà impossibile creare da zero un’industria solida che garantisca prestazioni efficienti e prezzi competitivi. Possiamo continuare a dire “non si può fare”. Oppure, possiamo leggere il numero di Greenkiesta con gli studi e i dati e capire che, se non asseconderemo questa ascesa, lo farà qualcun altro. Come è già successo con il fotovoltaico, vent’anni fa. Il resto del mondo lo ha già capito, e se non ci muoviamo sarà da loro che dovremo comprare l’energia del futuro.
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