Io, fanIl ritorno dei capolavori di fantascienza e le alte aspettative della generazione nerd

Nell’era d’oro delle serie tv e del cinema seriale la narrativa fantascientifica torna alla ribalta, grazie agli adattamenti di due capolavori del genere come "Dune" di Frank Herbert e il "Ciclo della Fondazione" di Asimov. Ma i risultati sono opposti

sci-fi nerd
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In tanti ci hanno provato, quasi nessuno c’è riuscito. Portare sullo schermo due opere mastodontiche come “Dune” di Frank Herbert e “Fondazione” di Isaac Asimov è un’operazione decisamente fuori dall’ordinario, a tratti folle, soprattutto perché significa cimentarsi con dei pilastri della narrazione fantascientifica. 

Il caso – o forse dovremmo dire il marketing – vuole che Apple Tv abbia pubblicato i primi episodi della serie “Foundation” a distanza di una sola settimana dall’arrivo nelle sale cinematografiche di “Dune”, l’attesissima trasposizione firmata da Denis Villeneuve. Un vero sogno per i cultori del genere, ma soprattutto una straordinaria vittoria per un’intera generazione di nerd, adulti fra i 30 e i 50 anni che fin dall’adolescenza sono stati inquadrati come dei tizi un po’ asociali e fin troppo esperti in materie di dubbio interesse.

Sono loro i veri protagonisti di questa new wave dell’audiovisivo, ago della bilancia di un possibile successo commerciale. Si tratta di un pubblico avvezzo al multimediale, cresciuto fra successi da botteghino e pellicole ultra indipendenti, fumetti dei supereroi e comics dell’underground, giochi di ruolo e videogame, classici della letteratura e narrativa di (sub)genere. 

Quello di “Dune” e “Fondazione” è solo l’ultimo passo di una tendenza lanciata nel nuovo millennio con “Il Signore degli Anelli”, la trilogia tolkeniana che Peter Jackson ha portato al cinema con ineccepibile rispetto esegetico. Le oltre 1.000 pagine del romanzo fantasy hanno trovato corrispondenza in un imponente lavoro di produzione, dando luce a oltre 12 ore complessive di film. 

Proprio il long form nell’audiovisivo è infatti la chiave di volta per le narrazioni dei nostri giorni, cifra formale oltreché stilistica, sdoganata anche dalla golden age della serialità televisiva. È dunque la scelta di amplificare i tempi di fruizione – e conseguentemente di impiegare importanti budget di produzione – ad aver permesso un approccio decisamente meticoloso a queste opere, innanzitutto in modo da rispettare le attese della vera fanbase, costituita dai lettori dei romanzi.

Ciononostante, il lavoro di adattamento di “Dune” e “Fondazione” ha seguito strade risolutamente differenti, con risultati altrettanto dissimili. Per il romanzo di Herbert si è infatti proceduto con particolare rispetto per il testo. 

Sebbene lo screenplay possieda una propria singolare cifra stilistica (che per esempio evita qualunque tipo di spoiler, superando anche la meticolosità del libro), il trio di sceneggiatori formato da Denis Villeneuve, Jon Spaihts ed Eric Roth ha fatto tesoro della potenza letteraria dell’opera e anche del lavoro realizzato negli scorsi decenni da David Lynch e Alejandro Jodorowsky.

L’efficacia visionaria del film pare infatti frutto di un processo creativo che va per sottrazione, puntando su una palette di colori ben determinata, su notturni e chiaroscuri ricchi di inquietudini, su forme e profili che contrappongono la geometricità tecnologica alla morbidezza naturalistica. 

È evidente che vi sia stato non solo uno studio accurato del tomo, ma anche del progetto iconografico di Moebius: il risultato è un lungometraggio capace di calare il lettore nei luoghi e nelle storie che per anni lo hanno accompagnato a livello subliminale, ritrovando non solo la fierezza e la fisicità dei personaggi, ma permettendogli di tornare in quei luoghi fissati nella memoria, ma in cui non era mai stato.

Al contrario, l’adattamento per la TV del ciclo della “Fondazione” pare, dopo una manciata di episodi, aver già tradito profondamente lo spirito dell’opera di Asimov. I problemi, naturalmente, non riguardano le scelte di gender, che avrebbero in effetti potuto attualizzare con adeguatezza una narrazione scritta che presenta poche figure femminili di prim’ordine.

Ma alla scelta di inserire donne di grande carattere e talento è purtroppo corrisposto un tradimento radicale e sistematico dello spirito del ciclo. Già “Fondazione” sconta complicazioni piuttosto serie di adattabilità, poiché centinaia di pagine vedono dialoghi fittissimi fra i protagonisti e intrighi spesso di carattere politico. 

In termini cinematografici, le circa 2.000 pagine che compongono l’opera sono quasi prive di momenti di pura azione o romanticismo. Fanno eccezione pochi fili narrativi, che generalmente risultano comunque strumentali allo svolgimento della storia. 

La produzione seriale ideata da David S. Goyer sconta invece uno svolgimento alquanto confusionario, numerose modifiche sostanziali alla narrazione e soprattutto una determinante infedeltà rispetto a quella che è considerata come la più importante saga di fantascienza della storia. 

L’insofferenza del fandom non ha tardato a farsi sentire e – benché nessuna abbia ancora bocciato senza appello una serie che non è neppure a metà della prima stagione – le critiche hanno colpito qualunque aspetto dei primi episodi ad accezione della sontuosa messa in scena. La drammatizzazione realizzata da Goyer sembra infatti più incentrata sull’inserimento di scene d’amore (e di sesso), violenza e azione, piuttosto che sulla rielaborazione di quella cornucopia di idee regalataci da Asimov. 

Adattare un’opera allo spirito contemporaneo è infatti operazione assai complicata, a cui la storia del cinema ci ha ormai abituati con risultati di ogni tipo. La sfida produttiva non sta dunque nell’omologare lo screenplay a un sistema narrativo che dovrebbe funzionare sulla carta, bensì è quella di comprendere la permeazione tematica nei nostri giorni e trovare una corretta linea di messa in scena. 

A decretare un possibile insuccesso saranno infatti gli appassionati della saga, quei puntigliosi nerd che vivono da anni nel piacevole vortice della narrazione totale, dell’intreccio di codici e della multimedialità. E ormai è cosa nota, si tratta di giudici molto difficili da accontentare.

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