In Italia la ripresa economica post-Covid continua ad accelerare: un successo reso possibile grazie a diversi fattori.
Il commercio mondiale ha recuperato e superato i livelli pre-Covid e la ripresa dell’economia, unita alla necessità di ricostituire i magazzini dopo le caute politiche di approvvigionamento della prima fase dell’emergenza Covid, ha portato a una forte e rapida crescita della domanda e a episodi di mancanza di materiali e prodotti sui mercati. Queste tendenze hanno dato luogo a fiammate nei costi di trasporto e nei prezzi internazionali delle materie prime, nonostante le pressioni inflattive e gli aumenti di costi dovuti a diffusi problemi legati alla logistica e agli scambi commerciali.
Determinante anche l’adesione della maggior parte della popolazione alla campagna vaccinale – i dati parlano di un 80% di italiani con almeno una dose ricevuta – e i progressi compiuti dal sistema bancario rispetto al passato, grazie alle strategie di innovazione messe in atto negli ultimi anni. Oggi infatti ci si trova davanti ad un sistema più sano e più patrimonializzato rispetto a quello del 2008-2009.
Ma un altro elemento fondamentale per la ripresa del nostro paese è stato il ruolo dell’Europa nei piani di investimento per il futuro, in particolare per quanto riguarda il Next Generation Eu considerando che destinerà all’Italia il 37% dei suoi fondi.
«Nei primi otto mesi del 2021 il manifatturiero italiano ha completato il percorso di ripianamento delle perdite accusate ad inizio pandemia», ha spiegato Gregorio De Felice, chief economist e responsabile studi e ricerche di Intesa Sanpaolo, nonché moderatore del 100esimo Rapporto Analisi dei Settori Industriali. «La fase di ripresa – ha aggiunto De Felice – proseguirà nei prossimi mesi, consentendo al fatturato di portarsi, a fine anno, su livelli superiori al 2019, sia a prezzi costanti con un +0.8%, sia soprattutto a prezzi correnti (non inflazionati) con un +9.3%ù.
La competitività dell’export italiano nel mondo post-Covid
Nella nuova realtà post-pandemica l’Italia è seconda tra i quattro big europei per crescita dell’export di beni manufatti, grazie al +4,6% registrato rispetto al 2019, dietro solo al 9,9% della Spagna e seguita da Germania 3,9% e Francia 2,4% (dati Eurostat).
Il rallentamento tedesco, dove il recupero dell’export è più lento, è dovuto soprattutto ai ritardi dei settori delle macchine di energia meccanica e di impiego generale, mentre in Francia i ritardi sono diffusi e coinvolgono diversi settori, su tutti Automotive e meccanica; unica eccezione la Mod, che è rientrata in pareggio rispetto ai livelli pre-crisi grazie all’export di pelletterie.
La Spagna, oltre al suo primato dell’export in Europa, fa segnare anche un +23,3% rispetto al pre-crisi nel settore dell’export di alimentari verso il mercato asiatico (specialmente carni e insaccati), bene anche i settori di autoveicoli e moto, assieme a quello della farmaceutica (+40%) grazie ai vaccini esportati soprattutto nell’Europa occidentale.
Secondo Ilaria Sangalli, Senior Economist Industry Research, Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo «la ritrovata competitività italiana nei mercati internazionali è un risultato raggiunto grazie alle brillanti performance della filiera dei metalli, favorite dalla spinta dei prezzi, e dei settori influenzati dal cambiamento delle abitudini dei consumatori indotto dalla pandemia, come quello mobiliare, l’elettrodomestica e quello di alimentari e bevande».
Da segnalare anche il completo recupero dei livelli pre-crisi dell’export italiano di autoveicoli, moto e meccanica. Un contributo rilevante è giunto dalla ripresa degli scambi all’interno dell’Europa, mentre sono stati superati i livelli di export pre-Covid nei mercati di Asia e Nafta – in forte recupero – dove non sono stati riscontrati effetti di sostituzione per quanto riguarda i beni intermedi dal mercato asiatico a quello europeo.
Il 2020 alle spalle, grandi, medie e piccole imprese in Italia
«Lo scorso anno», spiega Alessandra Lanza, senior partner di Prometeia, «ha inevitabilmente segnato un grave crollo del fatturato e della redditività operativa delle imprese italiane, ma la crisi economica affrontata è stata comunque meno drammatica di quella dello scorso decennio».
Il calo maggiore lo ha registrato il settore della moda con un -23,7%, seguito dal -14,6% dei metalli e da quello dei produttori di beni di investimento. Colpite soprattutto le grandi imprese del settore della medio-alta tecnologia e le medie imprese dell’elettronica.
Nei settori di moda, largo consumo e Automotive è emerso un forte deterioramento delle redditività operativa tra le grandi imprese, mentre nel settore degli elettrodomestici si è riscontrato un buon andamento per quanto concerne le grandi e piccole imprese, in contrasto con la situazione negativa di quelle medie.
In positivo i settori di chimica e farmaceutica, aiutati dal mercato dei vaccini, mentre sono stati favoriti anche i settori ad alta intensità di materie prime, come ad esempio quello dell’edilizia.
In sostanza per Lanza «aumentano la liquidità e i debiti finanziari, aumenta la patrimonializzazione e il rischio rimane contenuto rispetto alle precedenti recessioni».
Il quadro di domanda interna: il traino degli investimenti
In Italia continua il veloce recupero della domanda interna grazie alla crescita dei consumi, conseguenza diretta della normalizzazione della propensione al risparmio delle famiglie italiane, del miglioramento della situazione del mercato del lavoro e delle riaperture della mobilità internazionale.
Gli investimenti, sostenuti dagli incentivi, si sono mostrati in accelerazione nei primi sei mesi dell’anno, rispetto alla dinamica già positiva della seconda metà del 2020 (+5.4% secondo i dati di contabilità nazionale). «Il risultato è da attribuirsi in prevalenza agli investimenti in costruzioni in ambito residenziale», afferma Stefania Trenti, Responsabile Industry Research, Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo, «trainate dagli interventi di ristrutturazione e riqualificazione energetica, assieme agli investimenti in macchinari e impianti».
La crescita proseguirà a buon ritmo anche nella seconda parte dell’anno e nel prossimo biennio, grazie all’impulso fornito dalla prima tranche dei fondi europei e al ciclo di investimenti legati alla digitalizzazione del paese e all’implementazione del Pnrr.
E nel secondo trimestre dell’anno anche i consumi hanno registrato la tanto attesa inversione di tendenza, crescendo del 5.2% sul trimestre precedente, grazie alla spinta dei settori più colpiti dalle restrizioni anti-Covid: servizi e beni semidurevoli.
«Ci aspettiamo per il 2021 ancora un gap rispetto ai consumi pre-crisi», commenta Trenti, «con ritardi a doppia cifra per abbigliamento e calzature, a fronte di livelli superiori al pre-Covid per beni alimentari, durevoli per la casa ed elettronica di consumo».
Nel 2021 si registrano ancora minori spazi di recupero per moda, turismo e socialità, a causa delle chiusure diffuse che permangono nel mondo. In generale, nel caso italiano si tratta di una crescita diffusa, ma con rischi al ribasso: il miglioramento del mercato del lavoro più lento delle attese, a causa del mismatch qualitativo tra domanda e offerta lavorativa e la crescita del numero di famiglie in significative difficoltà economiche.
Unico punto di preoccupazione per il Governo rimane la messa a terra degli investimenti del Pnrr: è già chiaro come sia necessario accelerare sin da subito per poter raggiungere gli obiettivi fissati al 31 dicembre 2021, specialmente alla luce dei rischi emersi, dovuti alle strutture inadeguate presso amministrazioni, regioni, enti locali, che dovranno affrontare la gestione degli ingenti flussi di cassa in arrivo dall’Europa in tempi più brevi del solito.
Il settore manifatturiero: tra opportunità di domanda e aumenti di costo
La forte crescita economica iniziata a maggio 2020, oggi, ha portato al raggiungimento dei livelli pre-Covid e nel prossimo biennio 2022-2023 l’attività manifatturiera proseguirà lungo un sentiero di rapido sviluppo, crescendo a un tasso medio annuo del 4.2% a prezzi costanti.
Si tratta di un tasso più elevato rispetto alla media storica», spiega Alessandra Benedini, principal di Prometeia, «reso possibile grazie a prospettive di domanda particolarmente favorevoli, sia sul mercato interno sia su quelli internazionali».
Dieci settori su 15 avranno completato, a fine anno, il recupero dei livelli di fatturato pre-Covid, ad iniziare dai settori appartenenti al sistema casa, che guidano la classifica: prodotti e materiali da costruzione (+12.7% medio nel 2021, rispetto al 2019), elettrodomestici (+7.6%) e mobili (+6.5%).
Il saldo commerciale manifatturiero potrà sfiorare i 120 miliardi di euro nel 2023 (+15.9% rispetto al 2019). In questo contesto favorevole, anche se non esente da rischi, il fatturato deflazionato raggiungerà, nel 2023, un livello del 9.4% superiore al pre-Covid.
Ancor più brillante la performance del fatturato a prezzi correnti, che potrà superare la soglia record dei 1.135 miliardi di euro alla fine del 2023, oltre 196 miliardi in più rispetto al 2019 (+20.9%). La trasformazione verso un’economia più sostenibile e digitalizzata del Pnnr porterà maggiori opportunità per Meccanica, Elettrotecnica e Autoveicoli e moto, che sperimenteranno i tassi di crescita più fiorenti nel biennio 2022-2023.
«Nel complesso – continua Benedini – l’industria del manifatturiero chiuderà il 2021 con un aumento dell’attività dell’11,2%. I settori di moda, largo consumo, automotive, meccanica ed elettronica quest’anno chiuderanno con una ripresa in termini di produzione, ma che non sarà sufficiente a farli tornare ai livelli del 2019. Il made in italy continuerà a guadagnare quote nei mercati internazionali in tutti i settori: moda, largo consumo, automotive, meccanica, elettronica, farmaceutica e metallo».
Il quadro generale è positivo, ma in molti settori resterà un gap rispetto ai livelli del 2008: per sei settori su 15 la redditività operativa nel 2023 non recupererà livelli paragonabili al pre-pandemia, tra questi alimentari e bevande, metallo, farmaceutica, moda, largo consumo e intermedi chimici.
Ritardi anche nei settori legati alle costruzioni (elettrodomestici, materiali da costruzione, mobili) – che sono in crisi dal 1993 – oltre che per i produttori di beni intermedi, la moda e l’elettronica (dati Prometeia).