Una volta tanto Matteo Renzi e Carlo Calenda sono d’accordo: Marco Bentivogli dovrebbe essere candidato nel collegio Roma 1, quello del centro, lasciato libero da Roberto Gualtieri diventato sindaco della Capitale. Il nome del coordinatore di Base Italia era già stato fatto da Calenda per le suppletive a Roma Primavalle ma Enrico Letta si era opposto: «Nulla di personale su di te ma non possiamo votarti nello stesso giorno in cui Calenda è contro Gualtieri».
Ora la situazione è diversa. Letta potrebbe presentare quella di Bentivogli come una candidatura unitaria modello Nuovo Ulivo. Ma gli ostacoli non mancano. Uno, soprattutto.
Il fatto è che nel Partito democratico, molto ringalluzzito dopo il voto nelle grandi città, non tutti comprendono perché si dovrebbe “cedere” un collegio che era suo con Gualtieri. Al Nazareno la stima per l’ex segretario dei metalmeccanici Cisl è fuori discussione, a partire da Letta (mentre la sinistra di Orlando non lo ama troppo).
E tuttavia c’è un altro ostacolo serio che si chiama Nicola Zingaretti. Lui, domenica da Lucia Annunziata non si è sbilanciato: «La decisione non spetta a me ma all’alleanza». Ma non è un mistero che entrare in Parlamento gli piacerebbe, dopo tanti anni alla guida prima della Provincia di Roma poi alla Regione Lazio, con in mezzo il tostissimo lavoro da segretario del Partito democratico da lui bruscamente interrotto anche a causa dello stress psicologico, politico e fisico che quel ruolo comporta.
È anche vero che un seggio a Zingaretti alle elezioni politiche generali del 2023 non glielo toglierebbe nessuno, cosa che gli eviterebbe di fare la parte di quello che molla la sua Regione per un posto al sole a Montecitorio. È troppo aspettare un anno?
Certo è che anche nel Partito democratico c’è chi fa notare che candidare/eleggere “Zinga” avrebbe una seria controindicazione, cioè andare a elezioni in primavera per la Regione Lazio, un anno prima della scadenza naturale, una Regione non facile da riconquistare, tradizionalmente non sfavorevole alla destra (remember Polverini e Storace?) e che “Nicola” vinse anche grazie alla spaccatura del centrodestra, con l’allora sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi che non appoggiò il candidato ufficiale Stefano Parisi e che ebbe poi bisogno dell’appoggio dei Cinquestelle di Roberta Lombardi.
La stessa Lombardi potrebbe essere ricambiata venendo indicata come presidente dopo Nicola. Un contentino per Giuseppe Conte, da tanto tempo considerato anch’egli in lizza per prendere il seggio che era di Gualtieri ma si tratta di un’ipotesi ormai tramontata insieme all’alleanza strategica che lo vedeva addirittura come “federatore” del patto Partito democratico-M5s: ormai nemmeno Goffredo Bettini ci crede più.
E last but not least, dopo il deludente risultato alle amministrative l’ex avvocato del popolo che ha perso appunto il popolo a rischiare una figuraccia non ci pensa proprio.
È poi vero che ci sono altri esponenti dem che aspirano a entrare, o rientrare, nel Palazzo, come Enrico Gasbarra, amico di Letta e di Bettini, o Gianni Cuperlo, dirigente di prestigio che per una ragione o per l’altra è rimasto fuori dal Parlamento (era in lizza anche per il collegio di Siena poi preso dal segretario), mentre il Messaggero ha fatto anche i nomi del vicesegretario del Partito democratico Peppe Provenzano (che ce lo ha smentito) e dello scrittore Gianrico Carofiglio, una delle sei personalità esterne chiamate a coordinare l’ambiziosa iniziative delle Agorà, rilanciate ancora da Letta sempre da Fazio.
A questo proposito il segretario punta molto sul coinvolgimento di cittadini non del partito, oltre ovviamente a militanti ed elettori, per redigere il programma fondamentale del partito: una iniziativa di massa complementare a quella della costruzione del Nuovo Ulivo.
Il tutto passando per il rilancio di una battaglia identitaria come la legge Zan che Letta vuole vedere approvata nelle prossime settimane dopo un’istruttoria condotta dallo stesso Zan su quelle modifiche che potrebbero far venir meno i veti del passato.
Una mossa inattesa, quella di Letta, che finora si era mostrato intransigente sul testo del senatore del Partito democratico rifiutando di intavolare qualsivoglia trattativa. Ora non si chiama trattativa ma “esplorazione”, ma se non è zuppa è pan bagnato.
Quando la mediazione la chiedeva Renzi, questi era un rinnegato peggio di Kautsky, ma per il leader del Partito democratico l’importante è chiudere la partita e portare a casa il risultato. Per le intese con i riformisti c’è tempo. E forse le elezioni suppletive a Roma 1 nella prossima primavera potrebbero essere una buona occasione nel segno della candidatura di Marco Bentivogli.