Probabilmente la Direzione del Pd di domani non andrà a fondo delle questioni più politiche: però prima o poi si dovrà decidere su alcune cose non secondarie, tipo la scelta del sistema elettorale, se maggioritario o proporzionale (con tutte le varianti che qui per carità di patria lasciamo stare), perché questa opzione si intreccia con l’idea che il Pd ha del futuro del nostro sistema politico.
La situazione sta diventando un po’ paradossale, perché il segretario Enrico Letta, com’è noto, è un maggioritarista molto legato allo schema bipolare della politica italiana ed è convinto che si stia andando in quella direzione: Nuovo Ulivo contro sovranisti. Però, su questo, il leader sembra andare in minoranza, sempre più solo a difendere un sistema maggioritario peraltro rilanciato ieri da un Silvio Berlusconi ormai attentissimo a tenersi stretti i voti di Lega e Fratelli d’Italia indispensabili alla sua (illusoria) corsa al Quirinale. Poi magari – come dice Nicola Zingaretti – non se ne farà nulla ma intanto nel Pd si fa largo il proporzionale, è questa la novità.
La sinistra interna, tradizionalmente legata al sistema proporzionale, ha infatti ricevuto ieri un’autorevole benedizione da parte di Goffredo Bettini che in un’intervista a Repubblica ha spiegato la sua conversione: «Io sono stato un fautore del maggioritario alla nascita del Pd, quando l’Italia sembrava andare verso il bipartitismo. Ora è diverso. C’è stata una frammentazione, è aumentato l’astensionismo, la rappresentanza è debole. Partiti autonomi, con profili ideali e programmi chiari, migliorerebbero il rapporto tra le istituzioni, troppo aeree e autoreferenziali, e il popolo, che si percepisce in buona parte abbandonato e senza voce. È il momento di ragionarne con serenità e senza preconcetti».
È un’impostazione diversa da quella del segretario e più vicina, semmai, a quella che si ascolta da esponenti di Base riformista, la componente di Lorenzo Guerini e Luca Lotti di cui è portavoce Alessandro Alfieri: «Un sistema elettorale proporzionale può aiutare a definire meglio l’identità del Pd e insieme a favorire evoluzioni nel centrodestra per come l’abbiamo conosciuto in questi anni», ha detto quest’ultimo pochi giorni fa, al termine di una riunione della corrente. Letta immagina che il “centro” stia nel Nuovo Ulivo: ma in un sistema proporzionale si va ciascuno per conto suo, saranno poi gli elettori a indicare quale dei progetti sia il migliore. Dunque, Nuovo Ulivo e proporzionale insieme non ci stanno.
E, guarda le coincidenze, i proporzionalisti dem stanno venendo fuori ad alta voce proprio mentre nel centrodestra – in Forza Italia – emerge la frattura che si è manifestata con Renato Brunetta, Mara Carfagna e Mariastella Gelmini sulla faglia del sovranismo e in particolare con la suggestione avanzata dal ministro per la Pubblica amministrazione di unire le tre grandi famiglie politiche – socialisti, popolari e liberali – per proseguire l’esperienza Draghi tenendo fuori i sovranisti, un’idea che non a caso sempre Bettini ha giudicato «giusta ed anche coraggiosa».
È evidente come l’ideologo di Zingaretti stia passando dall’alleanza strategica con Giuseppe Conte “punto di riferimento” all’idea di una ben più seria alleanza europeista nel segno di Mario Draghi: in altre epoche e con altri soggetti si sarebbe parlato di una “svolta”. È questa “svolta” che sta compiendo tutto il Pd? Di certo, l’implosione del M5s e il pallido protagonismo di Conte costringono, e in un certo senso aiutano, il Pd a rivedere lo spartito degli ultimi anni. E Bettini pare essersene accorto.
In questo nuovo quadro il sistema proporzionale non è visto solo come funzionale all’indispensabile ripresa di un rapporto nitido tra partiti e società ma come via per aprire la strada a nuovi scenari politici con l’ingresso in campo di un nuovo centro liberal-democratico. Che, beninteso, è ancora da mettere in piedi, ma che potrebbe già emettere qualche vagito nella partita per il Quirinale per mettere in minoranza la destra se si ostinasse a brandire la bandiera del Cavaliere. Un centro come soggetto dell’europeismo e del riformismo italiano, una nuova offerta politica capace in qualche modo di tappare la falla di credibiità dell’attuale finto bipolarismo evidenziatosi con l’astensionismo delle ultime amministrative.
Sta a Enrico Letta e ai suoi collaboratori valutare in che modo assecondare questa nuova linea che viene avanti nei gruppi dirigenti oppure come rintuzzarla. O se, ancora una volta, far finta di nulla e andare avanti senza essersi chiariti le idee pronti a inseguire la realtà piuttosto che provare a determinarla.