Il Pd emette patenti di bontà sul ddl Zan, un disegno di legge doveroso ma abbastanza inutile perché inaspriva pene e non riconosceva diritti malgrado su Twitter dicano il contrario, ma soprattutto un’iniziativa politica gestita da Letta e associati con un dilettantismo da far invidia ai Cinquestelle, a meno che il Partito democratico non volesse ottenere esattamente questo risultato: una bella e nobile sconfitta da rivendicare sui social e da addebitare a Matteo Renzi in modo da chiudere definitivamente il rapporto con l’ex segretario, denunciando anche manovre occulte con la destra per il Quirinale.
Una mossa politica a suo modo geniale, quella del Pd, se l’obiettivo è quello di perdere oltre alla Zan anche la partita del Presidente della Repubblica e poi regalare il centro del centrosinistra alla destra.
Se questa ricerca del triplete sembra una strategia insensata è perché in effetti lo è. L’unica spiegazione plausibile a questa insensatezza è la prevalenza dello stile rancoroso della politica italiana, una versione nostrana dello stile paranoide della politica americana reso eterno da Richard Hofstadter nel libro ripubblicato da Adelphi con la traduzione di Francesco Pacifico.
Mentre il Pd fa la conta dei buoni e dei cattivi per conquistare il collegio di Instagram, senza preoccuparsi di chi al suo interno ha sabotato la proposta Zan probabilmente perché, secondo Verderami del Corriere, sarebbero addirittura quindici i suoi senatori che hanno votato contro, sembra proprio che il vero e unico obiettivo politico del Partito democratico da cinque anni sia quello di annientare Matteo Renzi, mica di battere la destra, cui anzi adesso prova ad omaggiare il centro e a rafforzare il collegio elettorale che eleggerà il Presidente della Repubblica, o di superare la stagione populista, cui anzi dà linfa vitale con l’alleanza strategica, o di intestarsi la stagione adulta di Mario Draghi.
Macché, prevale il risentimento adolescenziale nei confronti di quello che continua a bucargli il pallone.
Dopo aver tentato in tutti i modi di riportare i leader fortissimi Conte e Arcuri a Palazzo Chigi con il sostegno ideale di Ciampolillo, Marco Travaglio e Giuliano Ferrara, il Pd ha subìto lo smacco della nomina di Mario Draghi, denunciando anche un complotto internazionale, il primo complotto internazionale ordito per portare al governo la vittima della macchinazione. Poi ha mal sopportato Draghi, ha provato a fargli la fronda, e adesso lo rimuoverebbe volentieri da Palazzo Chigi se solo non avesse paura delle probabili, a quel punto, elezioni anticipate. O, peggio ancora, il Pd è sul serio convinto che questa sia la strada giusta per la gloria democratica, via Draghi da Chigi ed elezioni anticipate, magari illudendosi del risultato positivo alle amministrative e in nome di quella bizzarra idea della capogruppo Simona Malpezzi secondo cui «i numeri non sono un problema» sia per il Quirinale sia per le elezioni anticipate, come al Senato per la Zan.
La cosa più allarmante per il paese, e rivelatoria dello stato dissennato del Pd, l’ha raccontata ancora Verderami sul Corriere qualche giorno fa svelando che gli esponenti della segreteria Letta definiscono la squadra del premier «la spa di Palazzo Chigi», non nel senso di un centro benessere nel cuore del potere politico, ma di un centro di affari privati indicibili come se la nostra Presidenza del Consiglio fosse come il Cremlino di Putin (o come «la merchant bank che non parla inglese» installatasi, secondo Guido Rossi, nel Palazzo Chigi di Massimo D’Alema).
Spero che la segreteria del Pd smentisca con i fatti questa insinuazione nei confronti del team che oggi sta riprogettando da protagonista l’architettura geopolitica globale, dopo aver salvato l’Italia dall’epocale disastro economico e sanitario cui ci avevano trascinato la pandemia e la risposta del governo Conte-Pd.
Altrimenti quale sarebbe oggi la differenza tra il Partito democratico e Di Battista?