Fine Meta MaiZuckerberg ci ha presentato una distopia in cui si lavora 24 ore al giorno

Col rebranding di Facebook e la presentazione in pompa magna del Metaverse, il fondatore del colosso tech sembra attentare a qualcosa di ancora più fragile della nostra privacy: il nostro tempo libero privato e domestico

E così Mark Zuckerberg ha presentato il suo Metaverse, un progetto ancora piuttosto teorico che ha già ispirato il nuovo nome dell’azienda, Meta. A guardare la lunga presentazione del progetto, avvenuta nell’ambito di Connect 2021, l’annuale conferenza del gruppo Facebook (pardon, Meta) sembra evidente che Zuck faccia terribilmente sul serio. Il Metaverso è una mistione di realtà virtuale e aumentata che in alcuni casi ricorda le assurde interfacce manovrate da Tony Stark nei film della Marvel, ma è anche una tecnologia che potrebbe potenzialmente adeguarsi a tutto. E rivoluzionare qualsiasi settore.

Certo, in alcuni momenti, l’avatar di Zuckerberg sovrapposto su scenari digitali potrebbe aver ricordato a qualcuno le peripezie di Antonio Di Pietro su Second Life, quando l’Italia dei Valori aveva come consulente una modesta azienda chiamata Casaleggio Associati (per chi se la sentisse, alcune testimonianze del periodo rimangono online come febbrili allucinazioni collettive). Nonostante i limiti tecnici, comunque, il Metaverso fa paura a chi preferirebbe non consegnare la prossima frontiera del web ai responsabili dell’interfaccia di facebook.com, e per ottimi motivi.

Ma c’è una parte del keynote che sembra particolarmente appetibile a un’azienda come Meta: quella sul futuro del lavoro. In appena cinque minuti, la clip mostra delle fantasiose applicazioni del Metaverso alla vita da ufficio: riunioni in-presenza-ma-a-distanza organizzate da un collega “remoto” capace però di comparire all’improvviso davanti al suo capo, come evocato da un potente sortilegio (o richiamato all’ordine da un generale). Il titolo della sezione in questione, «Work better and do more», sembra quello di un Ted Talk del 2012 e assume sfumature sinistre alla luce di quanto avvenuto negli ultimi anni.

La pandemia ha costretto milioni di persone a una forma di lavoro smart (o telelavoro) piuttosto raffazzonata e improvvisata, in cui le caratteristiche legate all’aggettivo smart sono presto venute meno: il lavoro ha pervaso ogni cosa, ogni ambiente di casa e ogni momento, eliminando la routine d’ufficio e gli spostamenti, e portando a galla il lato oscuro e problematico di quel sogno chiamato “smart working”. Una forma di lavoro che va regolata e ben codificata, altrimenti tende ad allargarsi e adattarsi, espandendosi come una colonia di batteri su ogni superficie disponibile.

E il tempo libero? Quando non è del tutto scomparso, viene di certo minacciato, accerchiato dalle ansie e dai doveri lavorativi, come ho raccontato anche nel mio libro Come annoiarsi meglio (Blackie Edizioni). In questi giorni abbiamo atteso l’avvento di Meta come una minaccia dispotica per la nostra privacy e per la salute del web stesso: tutti timori confermati dall’evento di ieri; ma la presentazione sembra indicare a un altro obiettivo, ancora più preoccupante. E se il vero terreno di conquista di Zuckerberg, la “spezia” di cui sta andando alla ricerca costruendo il Metaverso, fosse il nostro tempo libero, privato e domestico?

Dopo aver sconvolto le nostre abitudini portandoci a consultare app in ogni momento disponibile (e pure quando non dovremmo), Zuck vuole aprire una nuova dimensione: una volta varcato il portale del Metaverso, cose come Instagram e Facebook risulterebbero piatte e antiche, un Flatlandia social al confronto dell’ambiente avvolgente e totale della realtà virtuale. Tutto così bello, tutto così difficile da abbandonare.

Per quanto riguarda poi quel «lavora meglio e fai di più», siamo al paradosso: lavorare meglio si può, organizzandosi e ottimizzando alcuni processi, facendo in modo di lavorare, quasi per magia, meno. Ma lavorare meno diventerebbe un problema, qualora il Metaverso assorbisse il mondo del lavoro: significherebbe utenti meno “ingaggiati” e un user time più basso.

Anatema. Molto meglio lavorare sempre di più, scaldati dai panorami della coloratissima distopia di Zuckerberg, in un mondo in cui – buona notizia – la commute lavorativa non esiste più, perché – brutta notizia – si è sempre al lavoro. E tutto è lavoro.

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