FormazioneBerberé e l’economia della gentilezza

Cortesia, apprendimento on the job, possibilità di carriera, nessuna barriera di genere o di età: la scommessa dei fratelli Aloe parte dalle persone e dalla bontà a 360 gradi

Secondo un’indagine di InfoJobs, il 78 per cento degli intervistati sostiene che la gentilezza dovrebbe far parte delle soft skill di chi cerca un impiego, mentre per il 96 per cento migliora anche la produttività: a volte basta un sorriso, che vale più di mille discorsi, per convincere una persona a dare il meglio di sé. Senza aver letto questa indagine, già 11 anni fa Matteo e Salvatore Aloe avevano intuito che, per creare un’azienda di successo, non era sufficiente fare buone pizze. Bisognava anche lavorare con persone altrettanto buone, gentili. Sorriso dopo sorriso e pizza dopo pizza, i due fratelli hanno conquistato l’Italia. Il loro successo è sintetizzato in una parola, Berberé.
L’ultimo nato è in via Carlo Botta 4, zona Porta Romana, a Milano. Anche qui il pallino è sempre lo stesso: fare pizze buonissime, servite gentilmente, in posti bellissimi. Ma tutto ciò sarebbe impossibile senza l’ingrediente fondamentale: le persone. Allora i fratelli Aloe hanno guardato alla pasta madre e alla sua imprevedibilità, comprendendo che era più conveniente correre qualche rischio con qualcuno che non sa usare Excel, ma che ha sposato i valori del brand invece di rincorrere supermanager che forse non hanno tanto tempo per la gentilezza.

Che cos’è Berberé
Per chi si fosse perso il fenomeno rivelazione del mondo della pizza nell’ultimo decennio, Berberè è l’insegna di pizzerie creata nel 2010 a Bologna da Matteo e Salvatore Aloe, divenuta una realtà di successo riconosciuta dal pubblico e dalla critica enogastronomica. Il brand promuove, attraverso la pizza, una vera rivoluzione della cultura gastronomica fondata sull’artigianalità.

Attualmente l’insegna Berberé contraddistingue 15 locali nell’Italia centro-settentrionale: Castel Maggiore (Bo), Bologna, Firenze (Borgo San Frediano e quartiere Santa Croce); Torino (Centrale, quartiere Borgo San Paolo e Porta Palazzo), Roma (quartiere Nomentano), Verona (Pizza delle Erbe) e Milano (Isola, Centrale, Navigli, Colonne di San Lorenzo e Porta Romana). Fuori dai confini nazionali Berberè è presente a Londra con un locale nel quartiere di Clapham.

L’economia della gentilezza
Per i suoi punti vendita, siano essi pizzaioli o manager, Berberé non cerca persone già completamente formate. Preferisce puntare sulla passione, impastarla con i propri valori e know how e mettere il tutto a lievitare tra forno e tavoli per vederne il risultato. La formazione è on the job, ma regolarmente retribuita. Ci si approccia a una realizzazione di una pizza a 360 gradi, senza tralasciare il cliente. Per questo motivo non c’è una risorsa ideale.

«Cerchiamo persone che siano gentili con sé stessi e gli altri, che non siano per forza appassionate, ma che lavorino con dedizione», ci spiega Matteo Aloe. «Devono essere delle brave persone, capaci di stare in gruppo e di relazionarsi con i clienti. La parola gentilezza è nella nostra mission da 10 anni e chi collabora con Berberè viene scelto anche in base alla gentilezza e al rispetto, tecnici informatici compresi».

In più, per sconfiggere l’immagine un po’ difficile e truce che il mondo della ristorazione si porta addosso da sempre, i fratelli Aloe hanno fatto della trasparenza e della chiarezza dei ruoli la base del proprio lavoro. Se si entra pizzaioli o camerieri si può crescere e arrivare a essere store oppure area manager, ma solo se lo vuoi e se lo meriti. Infatti, Berberè punta a far crescere i propri talenti. Ad esempio, Andrea Aureli, che è l’attuale supervisor di tutti i pizzaioli, ha iniziato 7 anni fa a 23 anni come pizzaiolo nel locale di Firenze Borgo San Frediano. Alessandro Bellè, che è attualmente area manager Nord Italia per Berberè, ha iniziato 6 anni fa come cameriere all’Isola.

Far crescere una risorsa ha un costo, ma anche cercare qualcuno già formato. «È più facile formare qualcuno a livello tecnico che a livello valoriale. Del resto, a livello di costi siamo lì, perché per scovare la persona giusta già formata bisogna spendere delle risorse nella ricerca e nel trasferimento dei valori. Mentre a chi si è già appassionato ai valori di Berberé, dobbiamo al limite insegnare a usare qualche programma informatico». Insomma, roba da niente.

Questione di potenziale
Genere ed età qui non sono un problema. Non si parla di quote rosa: il 70 per cento degli store manager è donna, il che significa che su 15 locali, 11 sono guidati da figure femminili. Ci sono esponenti di 28 nazionalità su un totale di circa 200 dipendenti. Per quanto riguarda l’età media, l’unico limite è la volontà perché qui l’inclusione è a 360 gradi. «Abbiamo assunto una donna appena uscita da un periodo di detenzione, a cui mancavano due anni alla pensione. È stata una cosa bella per lei e per noi. È vero che questo settore attrae fasce più giovani per il suo dinamismo, ma ciò che conta è essere flessibili sui turni, non l’età».

Persone e ristorazione: un futuro da scrivere
Gentilezza, inclusione a 360 gradi e formazione sul campo. Sono le tre coordinate su cui Berberé ha costruito e sta continuando a costruire. «In futuro vorremmo creare un punto in cui formare le persone che vanno poi a lavorare nei nostri negozi». Dalla tecnica del nostro impasto al comportamento dello store manager, passando per la gestione delle risorse e del lievito madre, qui è tutto già codificato, nero su bianco. Dalle grandi catene hanno mutuato la standardizzazione dei processi. Il prossimo passo è standardizzare la formazione, passando per la valorizzazione di ogni singola persona e dei suoi punti di forza. Con gentilezza e un sorriso, ovviamente. «Abbiamo visto che è fondamentale insegnare tutto, dal linguaggio al modo di impastare».

Nell’estate del 2020, quando tutto il mondo della ristorazione era in affanno per mancanza di personale, Berberé veniva fuori da una situazione complessa grazie alle figure chiave che sono rimaste lì, a presidiare il proprio posto.

«Abbiamo iniziato a cercare personale a inizio marzo 2021 e a oggi abbiamo aperto due locali e assunto circa 80 persone, ma ne avremmo prese anche di più». La ricetta Berberé dunque funziona. In Italia la ristorazione è ancora troppo frammentata e familiare, c’è poco spazio per crescere e ci sono poche competenze manageriali. I ragazzi sanno fare poco altro oltre al saper friggere bene una patatina.

«Per cambiare la situazione anche le scuole dovrebbero fare la propria parte, formando gli studenti sulla sicurezza alimentare, rilasciando anche il certificato HACCP, che è l’abc per lavorare in una cucina. In più, per tornare attrattivo, i ristoratori dovrebbero solo seguire le regole, garantendo alle persone almeno i contratti nazionali. Basta rispettare le regole, perché lavorare nella ristorazione non è poi così male: porti dei piatti in tavola, nutri delle persone, le aiuti a rilassarsi». E, magari, a diventare un po’ più gentili.

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