Inside AnkaraLa Turchia rischia di diventare una discarica di rifiuti nucleari

Il terzultimo paese in Europa per percentuale di corretto smaltimento è anche devastato dagli incendi a sud, e dalle inondazioni a nord. Per non parlare della deforestazione e siccità, in parte causati dalle grandi opere volute da Erdogan, come il Kanal Istanbul che rischia di distruggere l’ecosistema del mar di Marmara e del mar Nero

LaPresse

Dopo anni di ritardo, la Turchia ha finalmente ratificato l’Accordo di Parigi, diventando la 191 nazione a essersi impegnata nella lotta contro l’aumento delle temperature. In precedenza, Ankara si era rifiutata di compiere questo ulteriore passo perché riteneva iniqua la distribuzione di responsabilità in capo ai paesi industrializzati, di cui la stessa Turchia fa parte. Non a caso uno dei nodi più difficile da sciogliere prima della ratifica è stato quello dello status del paese anatolico. La Turchia ha infatti insistito fino all’ultimo per essere definita “in via di sviluppo”, così da poter accedere a un numero maggiore di fondi. Il suo status non è stato ancora definitivamente determinato, ma Francia, Germania, Regno Unito, World Bank’s International Finance Corporation e la Banca europea per ricostruzione e sviluppo hanno promesso alla Turchia 3,1 miliardi per la transizione ecologica. 

Nonostante questi cavilli, il governo turco ha ritenuto necessario ratificare l’Accordo dopo quanto accaduto negli ultimi mesi. Il sud del paese ad agosto è stato devastato dagli incendi, mentre nel nord si sono registrate inondazioni che hanno causato vittime e ingenti danni. A ciò si aggiungono i problemi derivanti dalla deforestazione e dalla siccità, in parte legati anche alle politiche messe in campo negli ultimi anni dal presidente Recep Tayyip Erdogan. 

Ma se la ratifica dell’Accordo è una buona notizia, basta leggere il resoconto della seduta parlamentare del 6 ottobre per scoprire che i problemi ambientali in Turchia rischiano paradossalmente di aumentare. 

La notte del 6 ottobre, subito dopo aver dato il via libera alla ratifica dell’Accordo di Parigi, il Parlamento ha fatto passare due leggi ferme da anni che rischiano di mettere seriamente in pericolo il paese dal punto di vista ecologico. La prima riguarda l’adesione alla “Convenzione congiunta sulla per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi”, che permette alla Turchia di diventare un paese di transito e destinazione dei rifiuti nucleari prodotti all’estero. La legge era stata depositata in Parlamento il 26 aprile 2019, ma la sua approvazione è arrivata soltanto il giorno in cui è stato ratificato anche l’Accordo sul clima.

Il 6 ottobre i parlamentari turchi hanno anche dato via libera alla legge n.210, un accordo internazionale che tutela le terze parti in caso di incidenti e danni presso stabilimenti nucleari costruiti dai paesi stranieri. Il riferimento a controparti straniere è strettamente legato all’attualità. La compagnia di Stato russa Rosatom sta infatti realizzando la prima centrale nucleare della Turchia e il presidente Erdogan ha di recente annunciato di volerne costruire ben presto altre due. 

A sorprendere nell’approvazione di queste leggi è stata la mancanza di una reale opposizione da parte delle forze politiche avverse alla maggioranza. A votare a favore sono stati l’Akp di Erdogan, i nazionalisti del Mhp ma anche il partito di opposizione İYİ Party. I socialdemocratici del Chp e la formazione filo-curda Hdp hanno votato contro una legge, ma si sono astenuti durante la votazione della seconda, con grande sorpresa degli attivisti locali. Un comportamento, quello dell’opposizione, che ha deluso gli attivisti turchi. 

I danni ambientali
Intanto la Turchia, con la ratifica dell’Accordo di Parigi, si è impegnata a raggiungere le emissioni zero di carbonio entro il 2050, in concomitanza con il seicentesimo anniversario della caduta di Costantinopoli. Una data non di certo casuale, scelta come sempre con cura dal presidente Erdogan. Per il 2030 è invece prevista la riduzione del 21 percento delle emissioni inquinanti, ma l’obiettivo è difficilmente raggiungibile. La Turchia infatti continua a puntare sul carbone come materia prima per la sua industria e deve fare i conti con un aumento del +150 percento di emissioni inquinanti dal 1990 a oggi. A ciò si aggiungono problemi nello smaltimento dei rifiuti e una cattiva gestione della raccolta differenziata. Secondo i dati dell’​​Eurostat, nel 2019 la Turchia è stata la destinazione principale dei rifiuti esternalizzati dai paesi europei, tanto da aggiudicarsi l’appellativo di discarica d’Europa.

Per l’European environment agency, inoltre, la Turchia è il terzultimo paese in Europa per percentuale di corretto smaltimento dei rifiuti.  A ciò si aggiungono anche le conseguenze ambientali dei megaprogetti che il governo continua ad approvare. Il più recente è il Kanal Istanbul, i cui lavori sono iniziati ufficialmente a giugno e che rischia di distruggere l’ecosistema del mar di Marmara e del mar Nero. Un progetto che ha anche causato l’abbattimento di un’ampia area boschiva in un paese che solo nell’ultimo decennio ha visto 66.648 ettari di foreste scomparire a causa degli incendi. Tra i megaprogetti rientra anche il sistema di dighe costruite negli anni sui fiumi Tigri ed Eufrate, realizzate ufficialmente per l’aumento dell’energia elettrica ma che hanno portato alla distruzione di ecosistemi e di interi villaggi in maggioranza curdi. 

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