L’anti metaverso Twitter a pagamento e la rinascita del social che amiamo odiare

Jack Dorsey, il Ceo della società, l’ha capito: non c’è bisogno di razzi e scenari futuristici, basta dare alla propria utenza quello che la ossessiona. La versione premium del social è il centro della nuova strategia del maledetto uccellino blu

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“Twitter, ma a pagamento” potrebbe sembrare una forma di tortura a molte persone. Di conseguenza, Twitter Blue, il nuovo servizio ad abbonamento del social network, sembrerebbe una follia, un sogno poco lucido del Ceo amante del psichedelico Jack Dorsey.

Ma se invece fosse la scelta giusta? Con Twitter Blue l’azienda sembra dimostrare di aver finalmente capito a chi serve davvero il social network: a gente ossessionata dall’app, intrappolata in una relazione tossica tra sé e il cinguettare, incapace di smettere. Gente strana, si potrebbe anche dire – ma pur sempre disposta a pagare per avere un servizio migliore.

Dopo una fase sperimentale in Canada e Australia, Twitter Blue è ora attiva anche negli Stati Uniti e in Nuova Zelanda. Costa 2,99 dollari al mese e include optional quali: la gestione dei segnalibri, la possibilità di avere un’anteprima del tweet (e di cancellarlo entro 30 secondi) con Undo Tweet, l’assenza di pubblicità. C’è di più: gli abbonati potranno leggere gratuitamente (e senza ad) i siti di news del Washington Post, L.A. Times, Usa Today, The Atlantic, Reuters, tra gli altri. Quest’ultimo punto è forse il più interessante, perché parte della quota d’abbonamento di Twitter Blue andrà proprio agli editori che collaborano col progetto: «Il nostro obiettivo» – ha spiegato il social network in un comunicato – «è aiutare ogni partner editoriale a guadagnare il 50 percento in più a persona di quanto farebbe servendole annunci pubblicitari».

All’utente internet medio, forse, tutto questo sembrerà comunque una stramberia, o l’ennesimo servizio a pagamento di un web ormai lottizzato. E in parte lo è, non ci sono dubbi. Ma Twitter Blue sembra anche indicare una direzione chiara e tutto sommato semplice: Twitter ha capito che chi lo usa è ossessionato dal sito e dalle news; ha probabilmente un legame forte con un gruppo sociale, culturale o politico, nel nome del quale combatte battaglie social fatte di thread, flame e tutto quel genere di cose che han fatto meritare al social network il nomignolo di “hellsite”. Provateci voi, a monetizzare un caos del genere, se ci riuscite.

In un mondo in cui i giganti digitali giocano con i razzi, i metaversi e le macchine auto-guidanti, la pragmatica umiltà di Twitter Blue si erge come un inaspettato esempio di – azzardiamo – virtù. Inutile inseguire un’idea di social che in realtà non esiste, in stile Zuckerberg: molto meglio ascoltare i propri utenti e consegnare loro un prodotto che potrebbe interessargli. Niente pubblicità, una grafica più chiara, un’esperienza più “piacevole” (usiamo le virgolette perché è pur sempre Twitter).

La soluzione di Twitter Blue sembra provenire dalla stessa filosofia che ha sta trasformando, per quanto goffamente, la società, dopo anni di immobilismo e confusione, durante i quali il social ha dovuto vedersela con problemi notevoli (tra tutti: che fare di Trump?). Solo negli ultimi mesi c’è stata la svolta, che ha portato anche alla nascita dei Super Follow, una funzionalità con cui un utente Twitter può essere sostenuto finanziariamente dai suoi stessi follower, i quali ricevono in cambio post e contenuti esclusivi.

È la creator economy, bellezza. Un settore che finora si è basato su Patreon e Substack, servizi con cui artisti, podcaster, scrittori e videomaker si fanno pagare dai propri fan, sovvertendo le logiche di mercato. Anche in questo caso, la mossa di Twitter è giusta quanto tardiva: Dorsey e i suoi ci hanno messo anni per capire che il loro social, pur essendo minuscolo rispetto a Facebook, è comunque il preferito da molti creator – e i loro fan. È qui che avvengono le discussioni più importanti, qui che il drama che ormai alimenta cultura, società e politica globale sorge spontaneo.

Permettere che fossero altre aziende a mettere la bandierina sulla monetizzazione dei contenuti è stato un grosso errore da parte di, che ora Twitter vuole correre ai ripari. “Blue” è un primo passo verso la giusta direzione: rendere il sito più odiato dai suoi stessi utenti un pochino migliore. Pochino, eh.

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