Design biofisicoLe sorti del cambiamento climatico dipendono anche da come produciamo il cibo

Uno dei punti cruciali emersi dalla COP26 è quello relativo alla deforestazione, una pratica che in futuro sarà sempre più diffusa a causa dell’aumento della popolazione mondiale. Se cambiamo però il modo di produrre il cibo che mangiamo, possiamo fare la differenza. Come? Facendo la spesa in modo sostenibile, coltivando senza sprechi e ripensando gli spazi lavorativi in ottica di indoor farming

COP26 si è conclusa con molti punti aperti, o comunque con obiettivi ancora troppo poco ambiziosi. La maggioranza, infatti, ritiene ancora inaccettabili le promesse degli stati per la riduzione della CO2. Si è parlato però tanto del tema della deforestazione e di come incrementare, o per lo meno mantenere stabile, la superficie delle foreste sia fondamentale per l’assorbimento della CO2. Sebbene non si sia ancora arrivati a terminare, una volta per tutte, la deforestazione, molti Stati si sono quanto meno impegnati a non diminuire ulteriormente la quantità di alberi presenti sui loro suoli.

Questo è un primo passo e certamente in futuro arriveremo ad azioni ancora più massicce, ma se eliminiamo la deforestazione, che ora avviene per lo più per fare spazio a campi agricoli o per la pastorizia, come produrremo il cibo di cui abbiamo bisogno, visto anche l’incremento della popolazione mondiale? La FAO stima che entro il 2050 saremo oltre 10 miliardi di persone e ci sarà bisogno del 70% in più di cibo prodotto. Inoltre, se guardiamo alla catena alimentare di oggi, ci rendiamo conto che oltre il 40% del cibo prodotto viene sprecato nel tragitto dalla “fattoria” alla tavola. Per questo diventa fondamentale ripensare al modello di produzione alimentare e approvvigionamento delle risorse.

Esempi come Cortilia ci fanno capire come sia ormai possibile fare la spesa, sostenibile, rifornendosi da produttori locali, che producono eticamente e con strette regolamentazioni sul “non-uso” di pesticidi o altri prodotti chimici. Produrre localmente però potrebbe non bastare, se si pensa che ormai l’imprevedibilità del clima sta mettendo sempre più a dura prova le coltivazioni tradizionali. In parallelo si sta sviluppando il vertical farming, ovvero la coltivazione fuori terra, in verticale e altamente tecnologica. Questa forma di agricoltura evoluta permette di produrre cibo fresco usando fino al 90% in meno di acqua, consumando spazi fino a 400 volte inferiori che le stesse coltivazioni in terra.

Il mercato del vertical farming è, come spesso succede con i prodotti tecnologici, molto più sviluppato all’estero, con gli Stati Uniti in prima linea, poi Olanda e Germania ma anche in Italia inizia a nascere un movimento degno di nota. Tra le più celebri vertical farm si è ormai molto sentito parlare di Planet Farms e di Agricola Moderna, entrambe incentrate sulla produzione di insalate freschissime a metro 0. I loro prodotti si possono trovare già in mote realtà della GdO. La stessa Cortilia ha in catalogo alcuni di questi prodotti.

Chi sta cercando di andare oltre al “classico” modello di impianto industriale di vertical farming è Hexagro, realtà milanese ma dal cuore (e team) internazionale, che sviluppa sistemi di agricoltura verticale con tecnologia aeroponica, quindi senza l’uso del suolo e con un uso limitato di acqua. Acqua e sostanze nutritive vengono spruzzate direttamente sulle radici, il che consente uno spreco minimo di risorse e un assorbimento ottimale di acqua e nutrimento. Per questo motivo, le piante possono crescere fino a 3/5 volte più velocemente rispetto a una coltivazione tradizionale. Il dosaggio dell’acqua e l’intensità delle luci sono controllati da un sistema IoT: ciò significa che il sistema è completamente automatizzato e progettato per ottimizzare la crescita delle piante.

Il progetto di punta dell’azienda si chiama Living Farming Tree, un orto indoor per uffici dove si coltivano piante medicali e aromatiche, i benefici di questi prodotti vanno oltre la produzione di cibo sano. Studi americani e inglesi hanno infatti dimostrato che gli elementi naturali riducono lo stress e supportano emozioni e umori positivi. Il design biofisico è nato per portare un nuovo modo di progettare e pensare i luoghi in cui viviamo, lavoriamo e siamo educati, al fine di riconnettere le persone al mondo naturale attraverso l’uso di materiali ed elementi architettonici che richiamano la natura attraverso i cinque sensi. I vantaggi sono evidenti: aumentano le capacità cognitive, la creatività e le prestazioni lavorative, e non ultimi la felicità e l’umore.

 

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