Conversazioni sul ciboCritica gastronomica, food influencer e il confronto della professionalità

Quando è successo che nel mondo della gastronomia, alla figura del critico gastronomico si sono affiancate quelle di bloggers e influencer più o meno legati al cibo? Abbiamo provato a tracciare la nascita e l’evoluzione di questa rivoluzione silenziosa

Quand’è che il cibo, l’andare fuori a cena e la socialità legata intorno ad una tavola apparecchiata, sono diventati oggetto di analisi, studio e talvolta neo-critica da parte della comunità? Quando è successo che nel mondo della gastronomia, alla figura del critico gastronomico si sono aggiunte quelle di bloggers e influencers più o meno legati al cibo? È difficile stabilire una data esatta ma quello che sappiamo è che questa sovrapposizione di ruoli c’è e per alcuni sta diventando sempre più scomoda.

Proprio in questi giorni abbiamo assistito alla proclamazione delle nuove stelle della guida più importante al mondo: la Michelin. Negli ultimi due mesi, in Italia, il settore ha vissuto un inteso periodo di premiazioni e stroncature grazie all’uscita delle più note guide del mangiar bene: Espresso e Gambero Rosso su tutte. Se fino a una decina di anni fa si aspettava con trepidazione l’uscita della Guida delle Osterie d’Italia per appuntarsi tutte le nuove chiocciole, oggi sembrano davvero lontani quei tempi.  È più probabile che si aspetti con impazienza le storie di una certa food blogger mentre cena in un ristorante piuttosto che la recensione di una guida autorevole sullo stesso. Anzi, prima le raccolte di indirizzi della buona tavola erano strumenti di viaggio, attrezzi del mestiere per viaggiatori golosi, appassionati di prodotti eno-gastronomici, addetti ai lavori. Arrivati in un’epoca in cui la digitalizzazione precede (quasi)tutto, è molto più probabile che a mandarci a cena in quella o quest’altra insegna sia la nostra food influencer preferita anziché la penna di un critico. Coloro che si riconoscono in questa categoria dovrebbero non tanto temere queste figure quanto forse riflettere sulle motivazioni che alimentano questa tendenza – perché ormai non possiamo più chiamarla moda. Le vecchie guide – perché sì, diciamocelo, vengono considerate vecchie dalla stragrande maggioranza degli utenti – restano uno strumento quasi referenziale, di settore per il settore. La facilità di linguaggio e l’immediatezza dei social verso l’argomento gastronomico ha portato a uno sdoganamento di questa materia a tratti eccessivo.

Ma non è solo una questione di supporto. Entra in gioco un fattore unico, il cui potere di suggestione è determinante: la persona. Una food influencer affidabile ci mette la faccia: non solo nei confronti dei suoi sostenitori ma anche ­– e soprattutto – verso quei ristoratori e professionisti che la contattano per eventuali collaborazioni. E proprio questo esserci in prima persona è catalizzante e distintivo. La stessa umanità sembra invece evaporare nella critica tradizionale, che risulta purtroppo più noiosa e datata. Se dovessimo indicare l’inizio di questa inversione di modus operandi, Tripadvisor sarebbe il primo responsabile. È un dato di fatto, non un capro espiatorio. Da quando quest’incredibile piattaforma ha dato la possibilità a chiunque, gratuitamente, di esprimere la propria opinione su qualsiasi esercizio commerciale, il metro di giudizio è inesorabilmente cambiato. La semplicità, quasi ovvietà, dell’operazione messa in atto da Tripadvisor è inversamente proporzionale al suo successo: clamoroso. Questo strumento ha concesso di mappare anche il bar-tabacchi nell’angolo più remoto del paese, mettendo l’informazione alla portata di tutti perché scevra da linguaggi aulici e didattici. Può non sembrarvi così evidente, ma l’arrivo delle stelline di valutazione nella prima pagine di ricerche di Google ha progressivamente privato la critica gastronomica della sua autorevolezza e prestigio originari. E il fenomeno non sembra arrestarsi ma anzi adattarsi ai trend del momento surfando l’esplosione dei social networks. Stiamo dicendo che un buon influencer non può essere anche una buona forchetta? Assolutamente no. Può essere un ottimo palato, grande storyteller, avere un’ottima fotografia e una buona padronanza del lessico. Può aver seduto a tante tavole, tra le più varie, e aver viaggiato a lungo. Questo basta per essere considerato un esperto sul tema? Senza dubbio aiuta ad avere sempre maggiori competenze. Ma è sufficiente a far sì che la sua opinione sia considerata alla stregua di quella di un tecnico?

Troppo spesso si approccia la cucina come materia frivola, senza reali fondamenta storiche, economiche, sociali. In realtà, anche questa ha una sua storia: delle origini, degli accadimenti, momenti chiave e rivoluzioni. Figure cardine, correnti, stili. Non basta aver sviluppato un buon palato per poter leggere in maniera analitica un piatto. Bisognerebbe aver presente la sua storia, potersi servire di riferimenti specifici per poter restituire un racconto puntuale e consapevole. Raccontare la propria esperienza, corredata più o meno di emotività e impressioni soggettive è concesso a tutti. E così come chiunque può lasciare un giudizio su Tripadvisor, chiunque può raccontare la propria esperienza sui social. C’è chi è più bravo nel farlo, più credibile, più appassionato, più fortunato. Al netto di ogni considerazione, sta alla nostra capacità di discernere, al nostro senso critico e al personalissimo gusto, cogliere ciò che ci sembra coerente, oggettivamente riportato, bello. Forse uno dei problemi è proprio questo: forse troppo spesso la bellezza viene lasciata in disparte. Comunemente vediamo il pubblico dividersi tra i fautori dell’alta cucina – quella considerata da veri gourmet e portafogli panciuti –  e la bassa cucina, più popolare. A noi, invece, piace parlare di buona cucina e cattiva cucina: solo quella che conforta, che vive libera nella purezza della materia prima, sarà bella oltre che buona. Fateci caso.

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