VademecumCome sopravvivere all’era della distrazione di massa

Se continueremo a distrarci pur di non confrontarci con noi stessi e con le nostre mancanze sicuramente lasceremo spazio ad altri che godranno della nostra superficialità

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Secondo una ricerca effettuata dall’agenzia di analisi Oxford Economics, la piattaforma YouTube, considerando l’indotto, contribuisce alla creazione del nostro Pil per 190 milioni di euro su base annua. Ad averne vantaggi dunque non sono solo i cosiddetti creator, alcuni dei quali divenuti vere e proprie celebrità con platee da milioni di iscritti, ma anche tutto il sistema Paese. Sì, perché ci sono in ballo 15mila posti di lavoro che danno occupazione alle maestranze più disparate che comunque necessitano e concorrono alla produzione dei contenuti video: dagli esperti di montaggio sino agli stylist, passando per la comunicazione e la promozione commerciale.

D’altro canto, sia in termini generali sia a livello europeo, la percentuale dei professionisti che, proprio dall’uso della piattaforma video, ha avuto un booster per il raggiungimento degli obiettivi è piuttosto elevata (il 75% circa), e in effetti su YouTube oggi ci si forma, si impara, si migliora, tant’è che ogni giorno si registra la presenza di 122 milioni di utenti attivi che diventano oltre due miliardi su base mensile.

Cosicché è per soddisfare il bisogno di nuove conoscenze di questo infinito esercito di assetati di sapere che ogni minuto vengono caricate su YouTube 500 ore di contenuti. È un bene? È un male? Dipende da quale prospettiva si sceglie per approcciare l’argomento. Se, per esempio, consideriamo quella del bisogno di apprendimento non possiamo che leggere positivamente il dato tutto italiano che vede 9 utenti su 10 dichiarare di utilizzare la piattaforma per accrescere le proprie conoscenze. Tant’è che diversi tra i canali italiani con un buon seguito in termini di iscritti sono di divulgazione scientifica. Tuttavia, se invece consideriamo che a fronte di questa nostra bulimia di formazione e informazione, ulteriormente stressata dalla pandemia, esiste il non piccolo rischio di accedere a notizie, nozioni e informazioni non obiettive, o peggio false, la prospettiva si capovolge.

E qui sono illuminanti quanto preoccupanti i dati che Censis ha recentemente reso pubblici e che evidenziano le percentuali dei nostri connazionali che hanno adottato l’abitudine di informarsi sui social: il 12,6% lo fa su YouTube (tra i giovani la quota è del 18%), il 3% su Twitter (che diventa 5% tra i più giovani), addirittura 14 milioni e mezzo (il 30,1% dei 14-80enni) utilizzano Facebook, con quote che raggiungono il 41,2% tra i laureati, il 39,5% dei soggetti con età compresa fra 30 e 44 anni, il 33% delle donne. E anche se in genere i social vengono integrati ad altre fonti di informazione, è la formula “in genere” che nasconde il trend: 4 milioni e mezzo di italiani si informano solo su queste piattaforme digitali.

Le tecnologie digitali, che hanno letteralmente rivoluzionato il nostro stile di vita oggi si sono radicate talmente tanto da diventarne egemoni e invece noi, che potenzialmente potremmo accedere a ogni branca del sapere in tempo reale, ci auto-limitiamo l’orizzonte di interazione alle community che la pensano come noi e che ci forniscono notizie adattate alle nostre tendenze e inclinazioni. Nessuna generazione umana ha mai neanche lontanamente avuto a disposizione questo potenziale di conoscenze eppure, la realtà e la nostra percezione di essa non sono mai state così distanti perché le preferiamo il piccolo mondo della sottocultura condivisa a scapito, ovviamente, del potenziamento delle nostre capacità di discernimento rispetto a quello che accade intorno a noi.

Se a questo aggiungiamo poi che gli infiniti stimoli a cui siamo sottoposti in rete hanno naturali ripercussioni anche a livello neurologico, il passo successivo è di consumare tutto “a bassa risoluzione”. Oramai siamo capaci di ascoltare musica mentre scorriamo i social, di seguire un podcast mentre giochiamo online. Il che vuol dire che siamo sì capaci di fare attenzione a tre, quattro anche cinque attività contemporaneamente ma l’attenzione prestata a ciascuna è necessariamente scarsa. E questo pregiudica la nostra capacità di andare oltre uno sguardo superficiale sul mondo, e spesso pregiudica in partenza anche la stessa qualità dei prodotti culturali.

Assecondare l’era della distrazione di massa al punto da foraggiarla è più facile di investire tempo, attenzione e energia per approfondire, per andare al nocciolo delle questioni e acquisire consapevolezze. Tuttavia, se continueremo a distrarci pur di non confrontarci con noi stessi e con le nostre mancanze sicuramente lasceremo spazio ad altri che godranno delle nostre superficialità e insufficienza.

È difficile prevedere l’impatto dell’accelerazione tecnologia sulle nostre vite, eppure alcune analisi, concentrate più sulla funzionalità che sull’effetto sui nostri cervelli, ci riescono. Stiamo sostanzialmente trasformando i nostri processi neurologici da percorsi di natura lineare a percorsi di natura esponenziale. Ma anche se stessimo semplicemente attivando nuove funzionalità già insite nel nostro programma di umani, non possiamo non affermare che, anche se ci vorrà del tempo, la trasformazione della nostra specie e ben più che iniziata. Sta a noi, alle scelte che facciamo o non facciamo ora, renderla evolutiva o involutiva.

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