Che dipenda dall’esigenza di svolgere il nostro lavoro o per motivi di studio o per godere di contenuti di intrattenimento, il dato di fatto incontrovertibile è che la nostra presenza in rete ha raggiunto un punto di non ritorno. Una verità semplice, a cui se ne aggiunge un’altra non più discutibile: di pari passo con l’evoluzione tecnologica si evolve e dunque cambia anche l’esperienza individuale che ciascuno di noi ha con il proprio spazio in rete.
«I gamer giocano su Twitch, i lettori leggono su Goodreads, i ciclisti pedalano su Peloton» – scrive Report Social Trends 2022 – «Le nostre community digitali non sono mai state più ricche, più vivaci e più d’impatto sulle nostre esperienze quotidiane di quanto lo siano adesso».
Sulla scorta del risultato di un’indagine congiunta di Facebook e del Governance Lab della New York University, secondo la quale il 77% delle persone intervistate ha dichiarato che il gruppo più importante di cui fanno parte è attivo online, il Report prosegue evidenziando come non vi siano altri luoghi dove questi gruppi vengano creati e curati più che sui social media.
I numeri dicono che oltre un miliardo di utenti Facebook è regolarmente attivo nei gruppi, così come su TikTok è possibile rilevare quanto le persone dedite a passioni e interessi tra i più disparati, che siano essi piante, streghe o tappeti, si stiano ritagliando spazi dove coltivarli e condividerli. Cosicché, per rispondere alla stessa esigenza, arriva anche la sperimentazione di Twitter che ha iniziato a testare una funzionalità chiamata Communities. Una funzionalità potenzialmente capace di cambiare radicalmente la piattaforma e che, sempre secondo Twitter, darà alle persone «un luogo dedicato per connettersi, condividere, e avvicinarsi alle conversazioni a cui tengono di più».
Che TikTok fosse uno dei trend dalle potenzialità più esplosive c’era da immaginarselo, vista la costante crescita dei suoi numeri che registrano ben un miliardo di utenti attivi a livello globale di cui circa sei milioni in Italia. Così come c’era da immaginarsi che i contenuti effimeri avrebbero finito con il diventare sempre meno accattivanti a vantaggio di quelli più efficaci, focalizzati e condivisibili, facendo dunque spostare il peso dell’attenzione dagli influencer più noti e patinati verso comunità più piccole e autentiche che si esprimono attraverso le figure dei creator. Figure che in poco meno di un decennio hanno creato un’economia dal valore stimato di oltre cento miliardi di dollari.
La domanda nodale che i brand dovranno porsi per intercettare questo trend non è dunque se debbano o meno legarsi a queste community, visto che ne hanno già colto il potenziale destinando per quest’anno appena iniziato un budget in aumento del 35%. Bensì su quale tipo di creator puntare; perché oltretutto, un’altra verità, in questo caso tutt’altro che semplice e banale, è che in questo preciso momento storico, come ci racconta un recente sondaggio di Squarespace, i giovani preferiscono la vita digitale a quella reale.
Come ho avuto modo di scrivere anche nel mio ultimo libro “Gratitudine. La rivoluzione necessaria”, «il mercato oggi ha però bisogno di storie di saggezza, e solo chi è e fa ciò che racconta è poi credibile nella narrazione». Dunque, un brand e chiamato a essere in profonda sintonia con le aspettative che suscita, a essere la storia che vende, che racconta, che fa. In sintesi, siamo approdati nell’epoca dello story being dove un brand è solo ciò che veramente “è”.