MetacuochiUscire per andare in cucina

Mangiare osservando chef e brigata all’opera sta diventando sempre più facile oltre che trendy. Le nuove tendenze tra chef’s table e banconi stellati, per guardare cosa succede ai fornelli mentre noi ci godiamo la cena

photo by www.brooklynfare.com

Nuovo anno nuovi ristoranti e con questi anche le tante inaspettate esperienze che il mondo della gastronomia ci porterà a fare. La curiosità per questo 2022 è tanta: per le nuove aperture, i nuovi vini, i possibili traguardi, le conquiste, le piccole e grandi scoperte culinarie. Tra i numerosi aspetti che compongono un’esperienza gastronomica è doverosa una riflessione sul bancone – presente in tanti ristoranti orientali ma non così sdoganato nelle insegne tradizionali – e non sempre accolto positivamente dalla clientela. Il banco è invece sempre presente (e più vissuto) nei cocktail bar: il bancone, quello che gli inglesi chiamano “counter”, è un vero e proprio palcoscenico, dove i bartenders si esibiscono ammirati da una platea di intenditori e appassionati. Anche nella ristorazione italiana, a partire dall’ultimo decennio, l’idea del bancone è stata riscattata e si è fatta strada persino in quegli ambienti più rigidi e formali. Forse NOBU Milano – insieme a qualche altra attività di vecchia data di cucina orientale – è stato uno dei primi ristoranti in città a proporre un vero sushi counter. Talmente comodo e spazioso che quasi non si percepiva la differenza con una sala ristorante di per sé già lussuosa. Era il 2000 e NOBU portava in Italia una cucina giapponese rivisitata, che per sua cultura e tradizione prevedeva la possibilità di mangiare seduti di fronte ai mastri del sushi per ammirarne il taglio del pesce e il massaggio del riso.

Ad oggi, sempre più ristoranti – dai bistrot contemporanei alle nuove osterie, dalle enoteche con piccola cucina ai ristoranti Michelin – offrono la doppia scelta tra sala tradizionale e bancone. I più fortunati – per volontà, un pizzico di vanità dello chef e layout architettonico – hanno la fortuna di essere perfettamente in corrispondenza delle cucine o del pass. In questo caso allora passiamo a parlare di chef’s table, dove in genere i posti sono limitati – da un minimo di due a un minimo di sei avventori nella maggior parte dei casi – e attorno al quale si percepisce un’aura infinitamente maggiore. Se pensiamo che c’è stato un periodo della ristorazione mondiale in cui i cuochi non venivano interpellati e non avevano occasione di parlare direttamente al pubblico – ma erano i critici a fare da ponte tra le due audience – oggi lo “show” della cucina vede attori completamente diversi. O meglio, ai cuochi viene riconosciuto il loro status di artisti, artigiani, visionari e intellettuali con la possibilità di instaurare un rapporto diretto con il proprio pubblico.

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Da chi mangia per gola a coloro che lo fanno per professione, non c’è categoria di pubblico che non sia felice di poter conoscere personalmente uno Chef, sentirlo raccontare, svelare idee e tecniche, vederlo all’opera e da vicino. Proprio come succede a una star, alcune volte persino con la stessa punta di venerazione e mitomania. I ristoratori che dicono sì a un tavolo posizionato nel cuore della loro cucina, senza filtri, offrono di fatto “nuove tavole”, ovvero la possibilità di vivere esperienze amplificate di un pasto. Una cena nella cena, una meta dimensione a tu per tu con lo chef e il suo team. Sentirsi privilegiati, appostati come vedette su tutto ciò che succede nel magico mondo delle cucine, mangiando piatti ancora in fase di test, abbondanze di altre porzioni, fuori lista del giorno (o del momento!).

Il tavolo dello chef presso il Ristorante Del Cambio a Torino

L’esperienza non è monodirezionale perché anche il team al lavoro vive un momento particolare. È messo sotto stress, non può sbagliare (anche se in realtà “è il bello della diretta”) e accetta il patto narrativo con il lettore – che in questo caso impugna una forchetta e non un libro – di stare al gioco, mettendosi (parzialmente) a nudo. Ci sono alcuni ristoranti dove il tavolo dello chef è fisicamente in cucina: per i gastro-fanatici questo rappresenta il top dell’esperienza, sentendosi un po’ Gordon Ramsey nelle cucine di Hell’s Kitchen o nel dietro le quinte di Masterchef. Quasi come a rompere quel muro che in genere divide servizio, cucina e sala, per creare un’esperienza non necessariamente più informale ma indubbiamente più autentica.
Chissà se la ristorazione del futuro andrà sempre più verso questa direzione, di coinvolgimento e partecipazione del pubblico, o se dobbiamo concepirla più come una moda o un fenomeno passeggero. Nel dubbio (e nell’attesa), non ci resta che provare con le nostre stesse papille uno dei tanti decantati chef’s table del momento.

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