Il grande equivocoPutin non muove guerra solo in Ucraina, ma contro tutta l’Europa

Tra propaganda cibernetica e finanziamenti, il dittatore russo ha arruolato in questi anni un esercito in parte spontaneo e in parte prezzolato che ha fatto opinione, creato consenso e giustificato il riconoscimento delle sue ragioni come atto di realismo. Ma in realtà quella del Cremlino è solo una vendetta contro l’Occidente

LaPresse

Dopo la nuova invasione dell’Ucraina da parte della Russia sono scese in piazza a protestare più persone a Mosca e a San Pietroburgo – e a migliaia sono state arrestate – che in qualunque capitale europea non post-sovietica. 

La sensibilità dell’immaginario popolare alle notizie e alle immagini di un conflitto e le reazioni che queste suscitano attestano la percezione di una vicinanza e di una partecipazione agli eventi, non misurabile dalla distanza geografica dal teatro delle operazioni. Inoltre, se la mobilitazione dell’opinione pubblica non ha mai alcuna rilevanza rispetto agli esiti militari di una guerra, ne trasmette e interpreta in modo preciso il vissuto collettivo e quindi il grado di accettabilità politica. Non c’è dubbio, allora, che l’intervento che Putin ha ordinato per «denazificare» l’Ucraina è stata vissuto dall’opinione pubblica europea come una cosa tanto lontana, quanto sostanzialmente estranea al problema della difesa degli interessi e dei valori europei. 

Non si sta parlando, ovviamente, del dolore e dell’apprensione che le immagini di violenza e di morte suscitano e che si traducono, a volte, nel generoso impegno umanitario dei volontari e più spesso nell’ipocrita esibizionismo solidaristico degli impostori (come nella disgustosa performance di Salvini ieri in Senato). Si sta parlando proprio dell’idea politica che l’opinione pubblica europea si è fatta delle azioni e dei propositi del padrone del Cremlino, concludendo che, giusti e sbagliati che siano (non troppo giusti e nemmeno troppo sbagliati, secondo il senso comune prevalente), cadono comunque fuori dal perimetro dei rischi e delle responsabilità dell’Europa e dei suoi stati membri.

Questa mitridatizzazione al veleno di un nazionalismo aggressivo e imperialistico, veicolato e replicato da una rete continentale di partiti populisti e sovranisti di rigorosa osservanza moscovita, è stato il vero capolavoro strategico di Putin e rappresenta la più preziosa risorsa, su cui oggi il Cremlino può contare per dividere l’unità e frenare le reazioni che l’Europa ha dovuto in qualche modo mostrare di fronte ai carrarmati di Mosca. 

Tra nuove strategie di propaganda cibernetica e vecchie pratiche di corruzione e di ricatto, Putin ha arruolato un esercito in parte spontaneo e in parte prezzolato che ha fatto opinione, creato consenso e giustificato il riconoscimento delle sue ragioni non come resa, ma come atto di realismo e di difesa dell’interesse europeo. 

Putin ha invaso l’Ucraina quando aveva già vinto questa guerra politica con l’Europa, quando era riuscito a disarmare moralmente Paesi, che non erano solo particolarmente esposti nei confronti del gas russo, ma i cui governi avrebbero dovuto affrontare un’opinione pubblica in larga parte persuasa che Putin oggi stia facendo la guerra all’Ucraina e non all’Europa e che quindi gli ucraini possano essere sacrificati in nome della pace europea. Cosa che pensano, senza confessarlo o dicono a mezza bocca politici autorevoli e rispettabili, non solo le marionette del Cremlino. 

La convinzione, spesso assolutamente sincera, è che Putin non ce l’abbia con noi, malgrado il fine ultimo di ogni atto del Cremlino, con le sue guerre ibride che hanno infiltrato tutti i paesi democratici, arrivando nei pressi, se non dentro la Casa Bianca, sia stato deliberatamente quello di destabilizzare ideologicamente e strategicamente l’asse euro-atlantico e isolare l’Europa. 

A forza di considerare i deliri revisionistici di Putin come la maschera di una autocrazia alleabile a un prezzo concordato, magari ingente, ma sostenibile, non si riesce più a vedere nel putinismo quello che è e che dichiara perfino di essere: una risposta nichilisticamente “grandiosa” al fallimento politico russo e al disfacimento sovietico, cioè una vera dottrina imperiale e un’ideologia di vendetta della sfida perduta con l’Occidente e l’Europa democratica, non solo durante, ma anche prima della stagione comunista.

In questo l’Italia è veramente la dimostrazione del trionfo di Putin. Salvini che parla della guerra come di una calamità naturale e porta i fiori all’ambasciata ucraina come li si porta ai morti al cimitero. Conte che si nasconde. Di Maio che biascica con la credibilità e col tremore degli antifascisti del 26 aprile che si sono appena tolti l’orbace. Berlusconi che fa trapelare il suo dolore e la sua azione per la pace, ma almeno pubblicamente sta zitto. Prodi che invece non sta zitto e dichiarandosi addolorato e sorpreso da Putin, mette in guardia contro i rischi per Italia e Germania dell’accerchiamento economico della Russia.

Un’Italia perfettamente rappresentata dal modo in cui la sua diplomazia e la sua politica lavoravano con tedeschi e ungheresi per ridurre il peso delle sanzioni, mentre il presidente ucraino Zelensky comunicava ai leader Ue che forse non l’avrebbero più visto vivo.