Il conflitto tra Russia e Ucraina ha riportato alla luce una serie di questioni scomode e lasciate cadere nel dimenticatoio. Tra queste ci sono la gestione del sito contaminato dal disastro nucleare di Chernobyl, il trattamento delle scorie radioattive e la possibilità che gli scontri armati possano provocarne la dispersione nell’ambiente. L’ex centrale di Chernobyl si trova a pochi chilometri dal confine tra Ucraina e Bielorussia, lungo una delle linee di avanzata delle forze armate russe ed è stata tra i primi territori ucraini a essere occupati dall’esercito di Mosca.
Gli scontri armati in un ambiente parzialmente radioattivo presentano un forte elemento di rischio e quelli di Chernobyl potrebbero essere stati i più significativi del loro genere ad aver mai avuto luogo. Il combattimento ed il movimento dei mezzi corazzati sollevano il terreno portando a un’esposizione al materiale radioattivo ma il rischio più grande è legato a quello che accade nei pressi del sarcofago, la struttura di protezione costruita intorno al reattore. I colpi di artiglieria possono provocare brecce più o meno ampie e dare vita a tristi conseguenze.
Il ministero degli Esteri ucraino ha lanciato l’allarme sulla possibilità che si verifichi, come ricordato dalla Bbc, «un altro disastro ecologico» nel sito ed i funzionari di Kiev hanno riferito che i livelli di radiazione sono stati «eccessivi». La Russia ha smentito queste dichiarazioni che sono state riprese anche da Samantha Turner, analista del Truman National Security Project. La Turner ha detto che, sebbene nessuno viva nell’area e l’impianto non sia più attivo, qualsiasi combattimento potrebbe causare la fuoriuscita di rifiuti radioattivi.
I territori circostanti alla centrale di Chernobyl fanno parte della Zona di Esclusione, creata il 2 maggio del 1986 dalle autorità sovietiche e che si estende per oltre 2700 chilometri quadrati. L’area è stata chiusa ed oltre duecentomila persone che ci vivevano sono state costrette ad abbandonare le proprie abitazioni. La Zona di esclusione copre un raggio di 30 chilometri dalla centrale ed è suddivisa in tre parti. La Zona interna, situata entro 10 chilometri dall’impianto, dove la situazione è così grave che il rientro della popolazione è impossibile. La Zona di evacuazione temporanea, dove le persone potranno tornare quando la radiazione tornerà a livelli accettabili. La Zona di monitoraggio rigoroso, che ha visto l’evacuazione di donne incinte e bambini. La superficie della Zona supera i 4000 chilometri quadrati se si considera anche quella della vicina Bielorussia.
Le zone al di fuori di quella interdetta, dove è permesso vivere e coltivare, hanno livelli di isotopi molto alti e ciò costituisce un grave pericolo per la salute. Il cesio 137 e lo stronzio 90, due dei principali elementi radioattivi, sono presenti in quantità significative nei cereali, nella legna usata per scaldare le abitazioni e nella cenere impiegata per fertilizzare i campi. I campioni di cereali e legna, prelevati tra il 2011 e il 2019 nell’ambito di uno studio realizzato da Greenpeace, hanno evidenziato una concentrazione media di radioattività ben oltre i limiti consentiti e lo stesso vale per la cenere. Lo stronzio 90 si trova nel terreno e viene assimilato dalle piante, compromettendo il ciclo che porta alla produzione di cibo e legna.La quotidianità delle persone che vivono dove è consentito farlo è segnata da una minaccia costante seppur invisibile.
Il reattore numero 4, danneggiato dall’esplosione avvenuta il 26 aprile 1986, è ricoperto da un sarcofago di cemento che è stato progettato per impedire il rilascio di ulteriori radiazioni nell’atmosfera. La struttura è stata costruita frettolosamente ed ha mostrato i primi segni di cedimento a vent’anni dall’esplosione. Le crepe hanno consentito la fuoriuscita di dosi letali di radiazioni e il pericolo maggiore è costituito dalle 216 tonnellate di uranio e plutonio ancora sepolte nel reattore. Nel 2017 è stato installato un nuovo sarcofago protettivo sopra quello vecchio. Si tratta della più grande struttura mobile mai realizzata al mondo e di un’opera ingegneristica unica nel suo genere. L’Arco è costituito da una struttura metallica di 25mila tonnellate, è alto 108 metri , lungo 162 metri ed è così grande da poter contenere la Statua della Libertà. La sua progettazione e realizzazione hanno avuto durata ultra ventennale e sono state un passo importante, ma non definitivo, verso la risoluzione di un problema gravissimo. L’Arco ha un ciclo vitale di 100 anni e in questo periodo di tempo bisognerà liberarsi del reattore altrimenti sarà servito a ben poco.
Nessuno dei belligeranti è interessato a provocare danni agli impianti nucleari che produrrebbero il rilascio di radiazioni ma la concatenazione di eventi potrebbe dar luogo a errori umani nell’ambito di lanci missilistici o di bombardamenti. L’invasione russa ha costretto milioni di europei ad assistere a una guerra vicina ed anche a rivalutare il ruolo giocato del nucleare.