Slava UkrainiLe voci degli ucraini di Milano contro la guerra

Sono 20mila le persone di nazionalità ucraina nella città metropolitana. Una comunità numerosa formata in maggioranza da donne e che fa squadra intorno alle chiese ortodosse della città. E che oggi non fa mancare il suo supporto a Kyiv

Wikimedia Commons

«Zelensky siamo con te». È un grido chiaro ed univoco quello che da giorni ormai Milano rivolge all’Ucraina. L’ultimo esempio è la manifestazione di sabato 26 febbraio in piazza Cairoli, che ha visto 30 mila persone colorarsi di giallo e di blu per mostrare la propria vicinanza ai civili e al popolo di Kyiv, costretti a vivere sotto le bombe russe.

Non ci sono però solo le manifestazioni: la Caritas Ambrosiana ha avviato una raccolta fondi a sostegno di quella ucraina e i palazzi cittadini, come la sede del Comune, portano tutte le sere i colori della bandiera di Kyiv. Non mancano ovviamente le pressioni anche dall’altra parte, come dimostra la richiesta di presa di distanza dell’attacco in Ucraina del sindaco Sala al direttore della Filarmonica della Scala Valery Gergiev, considerato vicino al presidente Vladimir Putin. Un atto non pervenuto, che ha portato il Piermarini ad allontanare Gergiev dalla direzione: perciò il 7 e il 15 marzo prossimo sarà certamente un altro a dirigere la Filarmonica.

La solidarietà e la vicinanza con i fratelli di Kyiv
Sono oggi 20mila gli ucraini presenti nella città metropolitana di Milano. Una comunità numerosa formata in maggioranza da donne e che fa squadra intorno alle chiese ortodosse della città. Una di queste è la chiesa dei Santi Giacomo e Giovanni, in via Meda nella zona sud della città. «Quello che chiediamo è soltanto la pace, siamo gente semplice che adora vivere in comunità», racconta a Linkiesta Sonja mentre impacchetta vestiti, viveri, farmaci e altri generi di prima necessità nello scantinato della chiesa per mandarli al fronte attraverso il corridoio umanitario dalla Polonia. «Io vivo in Italia da 8 anni, vengo dall’ovest, dalla città di Ivano-Frankivs’k. Sono un insegnante di storia ucraina nella scuola qui vicino. La mia vita in Italia è legata molto a questa chiesa», racconta Sonja. La preoccupazione maggiore è ovviamente rivolta ai propri cari, che abitano ancora in Ucraina. «Siamo tutti spaventati che possa succedere qualcosa. Io ho tanta paura soprattutto per mio fratello, che vive ancora a Kyiv e che tre giorni fa è partito verso l’ovest ma non è ancora arrivato. Spero tanto di riuscire a portare i miei nipoti adolescenti in Italia, ma loro non vogliono proprio lasciare la nostra terra», conclude ancora Sonja che con tanta commozione mostra la sua paura che i russi prendano la capitale ucraina.

«Sono un infermiere, attualmente lavoro all’ospedale Niguarda ma prima lavoravo all’Humanitas. Grazie anche ai colleghi italiani stiamo facendo una grande scorta di farmaci, come gli ipertensivi, visto che lì ormai non è rimasto più nulla», racconta invece Ruslan, che è in Italia da 8 anni. «La città da cui vengo io, Leopoli, nella parte occidentale del Paese, vive una situazione relativamente tranquilla ma lo stesso non si può dire delle migliaia di profughi che arrivano da est: mia cugina mi ha raccontato che è arrivato un pulmino dal Donbass pieno di bambini terrorizzati dagli orrori della guerra. Per questo stiamo mandando qualcosa che spero possa in parte alleviare le loro difficoltà», conclude Ruslan. L’aiuto degli italiani è poi molto apprezzato dalla comunità. Lo racconta anche Don Igor Krupa, cappellano della missione per i fedeli ucraini cattolici di rito bizantino S. Josaphat e collaboratore pastorale proprio della Chiesa dei Santi Giacomo e Giovanni. «Le parrocchie italiane ci sono molto vicine, ho ricevuto tantissime telefonate e anche tante persone, che mi fermano per strada chiedendomi cosa possono fare», racconta Don Igor. Come racconta a Linkiesta, lui è ormai in Italia da più di vent’anni e a Milano quasi da 7 ma non ha dimenticato le sue origini. «Provengo da una piccola cittadina dell’Ucraina occidentale, che per il momento è stata risparmiata. Ancora per il momento riesco a mantenere i contatti in Ucraina con mio padre, mio fratello e mia sorella con le loro famiglie. Certo però il morale è quello che è: la guerra è davvero il più grande disastro e la più grande pazzia che l’uomo può fare», conclude Don Igor.

Una speranza di pace
Altra piccola comunità che si riunisce intorno a una Chiesa ortodossa è quella di San Vito in Pasquirolo, un piccolo luogo di preghiera nascosto tra i palazzi di Viale Europa. Qui il sabato, secondo le tradizioni ortodosse, si raccolgono le offerte di cibo e si prega per i morti tutti assieme, sia russi che ucraini. La tavola è piena di viveri e tutto intorno al tavolo c’è un gran daffare con le persone che cercano di offrire e mettere a disposizione dei presenti, soprattutto donne, quanto hanno in comune. «È un rito che ci unisce, senza distinzioni politiche, di sesso o di nazione», evidenzia a Linkiesta Svetlana, originaria di Kyiv e badante presso una famiglia milanese. Il suo vestito nero da preghiera dice, tra poco lo sostituirà con un altro con i colori del suo Paese. «Tra poco andrò anch’io alla manifestazione di piazza Cairoli, ucraini e russi sono come fratelli, non devono farsi la guerra. La mia speranza è di poter presto tornare a casa mia in Ucraina, dover poter vivere senza l’orrore della guerra». Una speranza di tanti, forse di tutti, e non solo a Milano. 

 

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