Il governo russo ha molti difetti, per usare un eufemismo. La mancanza di chiarezza non è uno di questi. Soprattutto nel contesto della guerra attuale, molte ricercatrici e analisti hanno espresso dubbi su come interpretare alcune decisioni prese dall’Alto Comando russo, come ad esempio il lancio di missili ipersonici Kinshal nella campagna di bombardamenti in atto contro l’Ucraina.
Possibile che l’impiego di queste armi vada puramente interpretato come un altolà alla Nato?
L’interrogativo rimane, ma è innegabile che il Cremlino sia capace di segnalare in modo esplicito le proprie linee rosse e di minacciare l’avversario euro-atlantico quando lo ritiene veramente necessario.
Martedì sera è andata in onda l’intervista del portavoce presidenziale Dimitri Peskov con Christiane Amanpour di Cnn, la quale ha provato a incalzare l’intervistato sul potenziale utilizzo di armi nucleari da parte delle forze armate russe. Peskov ha dato una risposta poco ambigua: «Abbiamo una dottrina di sicurezza interna, che è di dominio pubblico, che espone tutti i motivi per cui le armi nucleari possono essere utilizzate. Se qualcosa rappresenta una minaccia esistenziale per il nostro paese, allora può essere utilizzato secondo la nostra dottrina». Dato il rischio che Mosca vede emanare da un’Ucraina indipendente e il timore che Unione europea e Nato la possano armare con sistemi sempre più sofisticati, queste sono parole poco rassicuranti.
È già da qualche settimana che le discussioni sulla dottrina russa riguardo l’utilizzo di armi nucleari sono tornate al centro dell’interesse. Poche settimane fa Vladimir Putin aveva dato ordine di porre in allerta rafforzata il deterrente strategico della Federazione Russa, ricordando Nato e Unione Europea delle potenziali rappresaglie che incorrerebbero in caso di conflitto diretto.
In quell’ambito è stato anche ricordato che l’atomica gioca un ruolo ambivalente nella strategia di difesa russa. Il suo ruolo primario è ovviamente quello di deterrente contro minacce esistenziali contro lo Stato e di garantire una risposta devastante contro la tentazione avversaria di utilizzare le armi nucleari in un conflitto convenzionale.
Questo uso detto strategico è complementare ad altri strumenti non-nucleari che, almeno su carta, Mosca considera paragonabili per potenza e devastazione inflitta (ad esempio armi cyber contro infrastrutture critiche o bombardamenti mirati con missili convenzionali). Un unicum russo è però anche l’obiettivo che le forze nucleari potrebbero perseguire in un conflitto convenzionale come quello ucraino.
A differenza degli Stati Uniti, le forze armate russe hanno un esteso arsenale di armi «operativo-tattiche» di potenza relativamente bassa e potenzialmente integrabili nelle regolari operazioni di guerra. Nell’ultimo decennio Mosca ha condotto diverse esercitazioni per testare il passaggio da una guerra generale a un conflitto nucleare, concentrandosi ad esempio sull’utilizzo di missili a media gittata Iskander-M (la cui versione convenzionale è già utilizzata in Ucraina) armati con testate da 5 a 50 chilotoni.
Questi ordigni hanno una potenza paragonabile a quella della bomba di Hiroshima (15 chilotoni) e il loro utilizzo è considerato quindi più credibile rispetto all’immensa potenza distruttrice di armi strategiche da centinaia di megatoni.
Ovviamente, ciò non significa né che si tratta di armi innocue, né che il comando russo le utilizzerebbe a cuor leggero. Un ordigno da 5 chilotoni ha il potenziale di distruggere un quartiere di Kiev (o, in alternativa, metà del centro storico di Roma) e a seconda dell’altitudine di detonazione genererebbe un fallout che si estenderebbe per un centinaio di chilometri in direzione del vento. Data la scarsa preparazione delle forze russe è lecito dubitare che le truppe di terra siano equipaggiate per combattere in condizioni di pericolo radiologico.
Nella dottrina russa, l’impiego di armi nucleari non è impensabile quanto nel resto d’Europa proprio perché esistono parametri che ne permetterebbero l’utilizzo anche nel quadro di una guerra convenzionale. Negli anni ’90 e nei primi anni 2000, la strategia russa poneva una grande enfasi sull’opzione nucleare per far fronte alla debolezza militare causata dal crollo dell’Urss.
Nel corso dei decenni, con il rafforzamento delle capacità difensive russe, Mosca ne ha ridimensionato il ruolo, preferendo presentare le armi nucleari come uno strumento fra tanti nella cassetta degli attrezzi della Difesa russa. Il Cremlino è particolarmente preoccupato dalla prospettiva di un’escalation incontrollata di conflitti regionali, motivo per cui ha deciso di definire uno spettro di misure con le quali può alzare gradualmente la pressione contro i propri avversari e segnalare la propria determinazione anche con strumenti non-nucleari.
L’utilizzo di armi nucleari tattiche, in questo quadro, sarebbe il gradino finale con cui infliggere un costo incommensurabile al nemico e imporre la fine di un conflitto in termini favorevoli alla Russia. È evidente che Mosca non abbia ancora mobilitato molti degli strumenti non-nucleari per forzare una resa ucraina, come bombardamenti strategici ancora più massicci o intense campagne cyber.
Non sappiamo se ciò non sia avvenuto per mancanza di risorse, o perché si teme un fraintendimento occidentale (l’attacco alle infrastrutture digitali ucraine potrebbero colpire involontariamente anche servizi europei).
Questa la teoria. A livello pratico sono due le domande più urgenti: possibile che la catena di comando nucleare russa approverebbe un attacco nucleare per spingere Kiev alla resa? In fondo non sappiamo né se l’ordine di Putin basti per sferrare un tale colpo (le fonti sono discordanti), né se le forze armate eseguirebbero un tale mandato. In secondo luogo, contro chi sarebbe rivolto il segnale generato da un tale attacco, Kiev o la Nato? Questa è una domanda importante perché determina anche quali obiettivi dentro all’Ucraina verrebbero colpiti.
Un colpo dimostrativo in zone scarsamente popolate o nel Mar Nero limiterebbe le vittime, pur dimostrando la risolutezza russa. Rimane però altamente improbabile che la rottura del tabù nucleare non provocherebbe fortissime reazioni dalla comunità internazionale. Difficilmente la Russia correrà il rischio di un maggiore coinvolgimento globale, a meno che non vengano intrapresi passi che Mosca potrebbe interpretare come un allargamento del conflitto, come l’imposizione di una no-fly-zone o l’arrivo di forze speciali occidentali in Ucraina.
In questo scenario, un attacco nucleare con testate di bassa potenza contro l’Ucraina scommetterebbe su un’ondata di panico fra gli stati Nato e nuove pressioni affinché Kiev raggiunga una pace negoziata con Mosca. Se l’utilizzo di armi nucleari non è inconcepibile, poco sembra per ora suggerirne una prossima mobilitazione. Sicuramente esso non avverrà solo a causa del fallimento iniziale della campagna russa, e non ci sono motivi per pensare che le decine di migliaia di morti e la catastrofe umanitaria già in corso non siano sufficienti per forzare un negoziato.