Era evidente fin dall’inizio che l’invasione dell’Ucraina decisa da Vladimir Putin mirava a destabilizzare l’Europa: il flusso dei migranti avrebbe dovuto spaccare i paesi dell’est (notoriamente restii all’accoglienza); mentre le decisioni sulle sanzioni avrebbero dovuto minare i rapporti tra quelli dell’ovest (fortemente dipendenti dal gas russo). Per ora questo proposito del Cremlino sembra aver fallito. Ma di effetto indiretto questa guerra ha dimostrato di averne anche un altro: la destabilizzazione del Medio Oriente e dell’Africa del nord.
Il perché lo si capisce bene dalle parole di Roman Leshchenko, ministro dell’Agricoltura ucraino, che di recente in un’audizione al Parlamento Europeo ha ribadito come l’Ucraina sia «il paniere dell’Europa» e si sia dimostrata il «garante della sicurezza alimentare nel mondo». Tutto vero, considerato che l’Ucraina produce enormi quantità di frumento e semi di girasole: materie prime utili non soltanto all’alimentazione umana, ma anche a quella degli animali negli allevamenti. Kiev, peraltro, nell’ultimo periodo è stata capace di esportare l’80% dei propri prodotti e lo ha fatto soprattutto attraverso i propri porti, proprio quelli che l’esercito russo nelle scorse settimane ha preso di mira nel sud del Paese, con l’obiettivo di privare l’Ucraina del mare.
Sempre Leshchenko, in un’altra parte del suo discorso, ha detto anche che il suo paese dovrebbe «dare a oltre 400 milioni di persone nel mondo generi alimentari», e che «adesso queste persone si trovano sul baratro della fame, ed è esattamente quello che vuole la Russia». Non sappiamo con certezza se davvero tra gli obiettivi del Cremlino ci fosse sin dall’inizio anche affamare l’Africa del nord e il Medio Oriente. Che fosse o no premeditato, però, questo è proprio quello che sta accadendo.
I paesi emergenti sono precisamente quelli maggiormente dipendenti dalle importazioni di generi alimentari dall’Ucraina e dalla Russia. L’Egitto, per fare un esempio a noi vicinissimo, dipende dai due paesi per l’80% dei propri approvvigionamenti; la Somalia oltre il 90% e l’Eritrea addirittura per il 100%. Stando a una nota di Filiera Italia «sono 50 i Paesi in via di sviluppo dipendenti per oltre il 30% dalle importazioni di cereali di quest’area e 25 di questi lo sono per oltre il 50%». Se consideriamo che Russia e Ucraina, insieme, producono oltre un quarto del frumento mondiale si capisce perché, a poco più di un mese dall’inizio del conflitto, le esportazioni sono sostanzialmente bloccate. E, di conseguenza, le scorte disponibili stanno finendo.
Il rischio – ed è un rischio concreto – è che si inneschi una crisi alimentare su scala globale, con milioni di persone che non riusciranno a provvedere alla propria sussistenza. Dalla gravità di questa crisi potranno dipendere provvedimenti da parte delle Nazioni Unite e dell’Unione europea, ma non è detto né che avverranno in tempo né che saranno sufficienti. Se non lo saranno la sponda sud del Mediterraneo potrebbe vivere uno dei suoi periodi peggiori nella storia recente, con conseguenti migrazioni di massa.
Il pericolo è anche che queste aree del mondo, già oggi politicamente e socialmente instabili, siano ulteriormente destabilizzate dalla crisi alimentare. In molti di questi paesi, infatti, i governi saranno ritenuti direttamente responsabili del peggioramento delle condizioni di vita della popolazione, e se la legittimità dei governi venisse a mancare, di colpo, potrebbero esserci rivolte e scontri, con conseguenti violenze e probabili passi indietro dal punto di vista dei diritti umani.
Ci sono anche casi in cui questa crisi alimentare potrebbe essere la cosiddetta goccia che fa traboccare il vaso, come nel caso del Libano. Il paese del Medio Oriente vive una situazione particolarmente difficile sia economicamente che politicamente, e anche qui le condizioni di vita dei cittadini sono peggiorate enormemente negli ultimi anni. Oggi da Beirut fanno sapere che le scorte alimentari basteranno solamente per pochi giorni.
Potrebbe sembrarci strano, ma una guerra che avviene in Ucraina, cioè a migliaia di chilometri da questi paesi, potrebbe, nel giro di poco, portarli ad affrontare uno dei pericoli più spaventosi per la nostra specie, la fame.