A due passi da Tortona e da Alessandria, la val Curone è una valle da percorrere senza fretta, per scoprirne con lentezza e stupore tutti i tesori. Per cominciare, i panorami che sono quelli dei dipinti di Pellizza (l’autore del celebratissimo “Quarto Stato”): valli dall’aspetto rude, torrenti che rivelano paesaggi rustici e suggestivi, calanchi e castagneti, casali e vigneti, castelli medievali e chiese romaniche. Da sempre “alla periferia dell’impero” ma, contemporaneamente, frequentato crocevia delle antiche vie del sale, la valle ha un carattere schivo e naif. Colpa (o merito?) della sua particolare morfologia che segue le anse tortuose del torrente da cui prende il nome e che regala viste da coup de foudre sui primi contrafforti dell’Appennino, sulle distese di faggete e castagneti, sui piccoli borghi gioiello.
Tra arte e enogastronomia
Per gli appassionati di storia ed arte, il territorio è un piccolo concentrato di tesori dove gli spalti di severi castelli e di rocche turrite controllano il paesaggio, dove le pievi romaniche disseminate lungo sentieri e vie maestre raccontano una lunga storia fatta di fede e di devozione, dove le architetture barocche dei palazzotti nobiliari sbocciano nei centri abitati.
Chi si avventura lungo i percorsi che si snodano verso i crinali dell’Appennino trova un campionario golosissimo di specialità straordinarie: funghi e tartufi, salumi e vini, frutta e formaggi, alcune protette e salvaguardate da Slow Food come Presidi. Volpedo, a pochi chilometri da Tortona, è una delle porte d’ingresso di questo piccolo mondo antico fatto di eccellenze gourmand e memorabilia di un glorioso passato. Qui è possibile visitare lo Studio Museo di Pellizza e seguire un suggestivo itinerario pellizziano tra i vicoli del borgo antico dove sono state collocate alcune riproduzioni dei luoghi che il pittore dipinse. Altra gloria del luogo è una varietà pregiatissima di pesca, la Gialla di Volpedo, raccolta rigorosamente a mano solo quando è giunta a maturazione completa. Ed ecco che da Volpedo Frutta, a Monleale, a una manciata di minuti dalla casa di Pellizza, è possibile acquistare i gioielli della agricoltura locale: pesche in primis e, in altri momenti dell’anno, ciliegie, pere e mele (anche le rare Carla e Pomella), pomodori, zucche e patate, confetture e marmellate.
Un grande bianco tra i rossi
In una regione ad altissima vocazione vinicola come il Piemonte non poteva mancare una produzione di vini. Le uve Barbera e Cortese, Freisa e Croatina hanno trovato sulle colline tortonesi uno dei loro habitat migliori, e questo sembrerebbe scontato. Meno scontato è trovare nelle cantine della zona un bianco grande e longevo, che forse mancava nel panorama enologico della regione, il Timorasso. «Nel nostro terroir – conferma Walter Massa, uno dei più interessanti viticoltori della zona – cresce, praticamente da sempre, questo vitigno a bacca bianca che, nel corso del tempo, è stato trascurato e poi quasi del tutto abbandonato per far posto ai vigneti di Cortese, molto più produttivi. Dal nostro timuras, però, si ricava un vino bianco di grande struttura, con sentori complessi, che esprime il meglio delle sue qualità a partire dai 18 mesi dalla vendemmia e raggiunge altissimi livelli, con una insospettabile performance per un bianco, anche dopo 5/6 anni in bottiglia». Massa è stato il guru della rinascita della viticoltura in valle: è a lui che si devono le prime pionieristiche vinificazioni di Timorasso che ovviamente si ritrova nell’albo d’onore della sua cantina (è commercializzato coi nomi di fantasia Piccolo Derthona e Costa del vento). Massa non è solo nell’avventura del Timorasso: a tenergli compagnia, tra gli altri, c’è Claudio Mariotto: i suoi Timorasso (Derthona, Bricco Cavallina, Pitasso…) sono assolutamente da provare, come il Poggio del Rosso (una Barbera fatta maturare in piccole botti), il Territorio (Barbera passata solo in acciaio), il Montemirano (Croatina in purezza affinata in tonneaux per almeno un anno). Gli chef del territorio apprezzano la versatilità di questo vitigno: uno su tutti Fabrizio Rebollini che nel suo Belvedere propone un risotto, come recita il menu della casa, al nostro timorasso.
Il formaggio amato da Leonardo
Una seconda tappa in valle è a San Sebastiano Curone, paesino di chiara ispirazione ligure: lo confermano le sue case color pastello affiancate l’una all’altra, la piazza col palazzo signorile, i vicoli e gli slarghi lastricati a ciottoli bianchi e neri, i carrugi stretti e tortuosi. Sul torrente Curone si affaccia il Corona, un albergo che esiste da più di 300 anni ed è sempre stato di proprietà della stessa famiglia. L’aria che si respira tra i fornelli è quella da vecchio Piemonte con il classico menu ricco di antipasti caldi e freddi (torta di salvia, salami crudi e cotti, involtini di prosciutto) e i tajarin all’uovo, nobilitati in stagione dal profumatissimo (e indigeno) tartufo bianco. Strano? Non tanto perché il prezioso Tuber magnatum Pico, insieme ai suoi fratellini minori Nero e Scorzone, ha trovato nelle colline e tra i calanchi della Vall Curone il terreno ideale per riprodursi e maturare. E, al pregiato tartufo bianco, San Sebastiano dedica una mostra mercato che si svolge nei week end di novembre. Solo pochi chilometri separano San Sebastiano da Fabbrica Curone: qui l’appassionato di arte troverà i resti di un castello dei Malaspina e la pieve gotico-romanica di Santa Maria Assunta. Il goloso, invece, cercherà la bottega dove Andrea Fittabile (Macelleria Fittabile, Via Roma, n. 48/1, Fabbrica Curone) vende i suoi salami cotti, i cotechini, i cacciatori, le pancette ma soprattutto il Nobile del Giarolo, salame crudo, altro must della valle, così prezioso da essere diventato un Presidio Slow Food. Il sapore dolce e delicato del Nobile, spiegano i norcini della valle, è merito della carne che entra nella sua composizione: solo parti nobili del maiale (spalla, coscia, lonza e filetto) macinate e poi insaporite con sale, pepe e un infuso filtrato di aglio e vino rosso. Una stagionatura lunga e sapiente (da tre a diciotto mesi) fa poi il resto. Sempre a Fabbrica Curone merita una sosta il Caseificio Terre del Giarolo dove si produce il re dei formaggi della Valle, il Montébore. La storia di questo formaggio è avventurosa: una formaggetta di latte crudo vaccino e ovino dalla curiosa forma a torre di cui si hanno notizie quasi millenarie, protagonista (o almeno co-protagonista) di banchetti principeschi (come quello delle nozze di Isabella d’Aragona e Gian Galeazzo Sforza) e amato da vip (Leonardo ne era golosissimo e, vuole la leggenda, ne disegnò lui stesso, proprio per le nozze di casa Sforza, la forma che ricorda quella di una torta nuziale). Poi ha rischiato di essere dimenticato fino a che nell’edizione di Cheese ‘99 è stato riscoperto. Le formaggette di Montébore in valle si producono da tempo immemorabile ma la tecnica di lavorazione è rimasta pressoché invariata: la cagliata viene posta a scolare nei ferslin (le formelle) di diametro decrescente da 15 a 5 cm e, una volta asciutta, si sala e si lascia riposare per qualche ora. Poi si preparano i cosiddetti castellini sovrapponendo tre forme di dimensioni decrescenti che vengono poi poste a maturare. Il risultato? Un formaggio da gustare sia fresco che stagionato e che presenta una vasta gamma di sapori: da un intenso gusto di burro alle sfumature erbacee e di castagna.
La bella di Garbagna
Parallela alla Val Curone è la Val Grue raggiungibile passando da Montermarzino un borgo che regala un panorama a 360° dal Monte Rosa all’Abetone. Il centro principale della Val Grue è Garbagna distesa in una conca verdissima circondata da boschi: il centro storico disseminato di palazzotti nobiliari affacciati su viuzze strette e tortuose ricorda la dominazione genovese, i Doria e i Fieschi, che per secoli, furono i signori del luogo. La gloria, golosa, locale è un altro Presidio Slow Food, la Bella di Garbagna una ciliegia rossissima, dolce e croccante, che si conserva bene sotto spirito, mantenendo consistenza e sapore, amata e apprezzata dai pasticceri di Casa Savoia che l’avevano ribattezzata “la ciresa dei boeri”. Per provarla basta andare all’azienda agricola Pisacco dove si trovano tutte le versioni possibili della Bella, anche una in agrodolce, ideale come accompagnamento di bolliti e formaggi stagionati. E alla Bella, in giugno, viene dedicata una Sagra con assaggi e laboratori del gusto. Il tutto in una piazza rinascimentale popolata da ippocastani centenari (piazza Principe Doria) su cui si affacciano il palazzo Doria e l’oratorio di San Rocco.