La rivoluzione della serietàLe virtù repubblicane sono la strada giusta per liberarci del bipopulismo

Contro la cancellazione della storia e dell’identità, a favore di competenza, autorità e istruzione. Il nuovo libro di Carlo Calenda, “La libertà che non libera” (La Nave di Teseo) presenta il programma per una ricostruzione del valore della politica

di Clement Falize, da Unsplash

Virtù civiche e ideologia non convivono bene. La libertà dai condizionamenti e dai preconcetti favorisce la partecipazione a favore del bene pubblico, piuttosto che a beneficio di una parte politica. Anche per questo i valori espressi dalla prima parte della Costituzione hanno trovato solo una parziale applicazione nella società italiana. Il confronto ideologico tra democristiani e comunisti nella prima repubblica e tra destra e sinistra nella seconda ha soffocato, insieme ai movimenti politici che al repubblicanesimo si ispiravano, la concreta possibilità di rendere quei principi pienamente operativi nella realtà.

Le grandi figure del repubblicanesimo hanno però contribuito a cambiare l’Italia attraverso le battaglie per i diritti civili, la difesa intransigente della laicità dello stato e l’europeismo. I conseguimenti fondamentali della Repubblica Italiana non sono tanto figli delle ideologie quanto dell’umanesimo repubblicano e liberalsocialista. È tempo che questo pensiero trovi finalmente una casa politica forte e diventi determinante nelle scelte di governo. Non possiamo continuare sulla strada del conflitto ideologico degenerato oggi in un distruttivo e vuoto bi-populismo.

Dobbiamo avere piena consapevolezza che la fragilità dell’Italia, che ci ha portato a declinare negli ultimi trent’anni, rischia di essere esiziale in un mondo più pericoloso e più duro. Istituzioni, burocrazia, stampa, corpi intermedi, magistratura, scuola e università sono da rifondare completamente, e il carattere di questa rifondazione non può essere solo finalizzato all’efficienza economica. All’Italia occorre in primo luogo una rinascita civile e culturale, che si raggiunge aumentando il livello dell’istruzione, la diffusione della cultura, la consistenza delle virtù civiche e la forza delle istituzioni pubbliche. In “Orizzonti selvaggi”, ne “I mostri” e in questo saggio ho cercato di spiegare come ritengo che si debbano perseguire questi obiettivi.

Riaccendere negli italiani una scintilla di patriottismo repubblicano richiederà idealismo, capacità realizzativa e intransigenza verso “l’italiotismo”, quel peculiarissimo atteggiamento che ci rende fieri dei nostri vizi e inconsapevoli delle nostre virtù. Dopo decenni in cui ci siamo lamentati dello spettacolo offerto dalla politica italiana, dimenticando che essa è espressione del nostro voto, dobbiamo cercare di offrire un’alternativa dando agli italiani la politica che teoricamente hanno sempre reclamato fondata sull’etica dei comportamenti, la trasparenza, l’obbligo di dire la verità sullo stato della nazione, la serietà del lavoro. Non è affatto detto che un’offerta politica siffatta funzionerà. Ma non abbiamo alternative a tentare questa strada.

Dobbiamo tornare ad affermare con forza che essere cittadini italiani non è scontato né gratuito. L’appartenenza alla repubblica comporta doveri e obblighi. È giunto il momento di farli tornare al centro dell’azione politica.

Destra e sinistra hanno esercitato il richiamo ai doveri solo verso l’elettorato della parte politica avversa. Quando è andata al governo, la destra ha giustificato l’evasione fiscale mentre richiamava al dovere magistratura e dipendenti pubblici. La sinistra al potere ha criminalizzato le partite IVA e ignorato le disfunzioni della pubblica amministrazione. Il richiamo ai doveri civici è stato usato come arma di lotta politica. In questo modo i valori e la fiducia istituzionale sono stati corrotti. Solo riaffermando la centralità dei doveri civici per tutte le categorie di cittadini, senza privilegi di parte, una rinascita repubblicana sarà possibile.

È necessario offrire ai cittadini italiani un’alternativa al bi-populismo, di destra e di sinistra, attraverso la costruzione di una nuova area politica liberalprogressista, autonoma dalla destra e dalla sinistra, che non deve però rifugiarsi nel centrismo e nel moderatismo. Cultura di governo, rifiuto del populismo, riformismo pragmatico e richiamo alla centralità dei doveri di cittadinanza devono essere i valori di quest’area in cui mi riconosco fortemente. Un “Partito per la Repubblica” saldamente radicato nella democrazia liberale, nel posizionamento atlantico e nell’europeismo. Gli anni che abbiamo davanti saranno duri e pericolosi. La coalizione di sinistra sempre più dominata dai populisti – siano essi Cinquestelle, “verdi del no a tutto” o sinistra massimalista – non sarà in grado di fare ciò che occorre per tenere in sicurezza il paese. Aumento delle spese per la difesa, nucleare di nuova generazione, rigassificatori, accordo di libero scambio con gli USA (oggi ancora più necessario e urgente vista la situazione internazionale), riforme che impatteranno sull’egemonia sindacale nei servizi pubblici e sulla pretesa della magistratura di essere al di sopra di ogni valutazione: sono tutti obiettivi che non potranno mai essere realizzati dalla coalizione tra populisti e sinistra.

D’altro canto, la destra a guida sovranista e antieuropea, compromessa pesantemente con regimi autocratici, semplicemente non può governare una nazione che dipende largamente dal sostegno dell’Unione Europea. Le posizioni di Salvini e Meloni hanno messo la destra italiana nella stessa condizione del Partito comunista negli anni sessanta: l’impossibilità di governare determinata dalla collocazione internazionale.

La destra rappresenta un’anomalia anche da un altro punto di vista: negli ultimi trent’anni ha sempre sostenuto posizioni contrarie al riconoscimento dei doveri civici. Basta pensare a quanto accaduto durante la pandemia e la guerra in Ucraina: le continue richieste di Salvini e Meloni di aprire tutto e rimuovere ogni obbligo, il fiancheggiamento delle posizioni dei No Vax e la reticenza sulle sanzioni contro la Russia. Meloni e Salvini sono sempre stati dalla parte dell’irresponsabilità piuttosto che per un’interpretazione organicistica dello stato, perseguita invece dagli autocrati a cui pure si ispirano. Anziché temerne fantomatici disegni autoritari, dovremmo constatare la loro pericolosità sul piano etico, istituzionale e internazionale.

Ci guardiamo intorno e vediamo una nazione debole da ogni punto di vista. Possiamo continuare così, ripetendo all’infinito gli stessi errori o scegliere la strada di un cambiamento radicale diverso da tutti quelli fin qui intrapresi e che si sono immancabilmente trasformati in altrettante delusioni. Vaffa, rottamazioni, ruspe, prima gli italiani avevano tutte in comune l’idea di decostruire, rompere, spezzare, bruciare. Tutte rivoluzioni finite nel nulla, a partire da quella promessa da Berlusconi all’alba della seconda repubblica. Questi slogan hanno avuto successo perché contribuivano ad assecondare la propensione all’autoassoluzione degli elettori. Il meccanismo era semplice: incanalavano la rabbia verso la politica come se non fosse il frutto delle scelte dei cittadini.

C’è solo una rivoluzione che l’Italia ha accuratamente evitato di intraprendere: quella della serietà e del riconoscimento della responsabilità. Scrivevo ne “I mostri”: «Immaginando un diagramma cartesiano dove l’asse orizzontale va dallo stato liberale minimo allo stato totalitario (socialista) e l’asse verticale dalla minima libertà individuale alla massima libertà individuale, gli italiani si collocherebbero decisamente nel quadrante in alto a destra. Massima libertà e stato onnipresente. Come è del tutto evidente, quel quadrante semplicemente non esiste. E da qui originano molti dei nostri problemi: le aspettative irrealizzabili».

La maggioranza degli italiani è fatta da persone serie, che nella loro vita privata, sociale e professionale si comportano con responsabilità. Purtroppo però sono intrappolati in un rapporto con la politica e le istituzioni che da molti anni è diventato profondamente disfunzionale. Da un lato perché sono dispersi in schieramenti, destra e sinistra, dove nel tempo hanno prevalso i populisti; dall’altro perché non credono più che una politica seria possa esistere nel nostro paese. Sempre più italiani, sollecitati sempre e solo a votare contro qualcuno più che per qualcosa, reduci da mille delusioni e promesse mancate, ogni anno ripiegano nella propria vita privata e smettono persino di andare a votare. E tuttavia, credo fermamente, che tanti cittadini siano pronti ad accogliere una proposta fondata sui principi culturali e sulla linea di azione politica che ho descritto in questo libro. In occasione delle elezioni di Roma lo hanno fatto, e se pure non in numero sufficiente per determinare una vittoria, elettori provenienti da storie politiche diverse si sono uniti facendo diventare la nostra lista la prima per numero di voti nella capitale.

Non ho alcun dubbio che le mutate condizioni di contesto e la stanchezza per gli slogan populisti possono favorire un processo di ricostruzione del valore della politica. Non credo che le persone vogliano rimanere ignoranti, che non siano disposte a migliorarsi, che non abbiano voglia di mettersi insieme per dare vita a opere e azioni che vanno oltre la loro vita individuale. Cerchiamo tutti, in un modo o nell’altro, una forma di idealità da condividere per non essere soli. Semplicemente in alcune epoche storiche questa naturale attitudine è travolta dalla velocità del progresso, tanto da farci pensare che l’uomo sia impotente rispetto alla sua storia. Non è la prima volta che accade.

da “La libertà che non libera”, di Carlo Calenda, La Nave di Teseo, pagine 192, euro 18