Una figuraccia dell’Italia a livello planetario. E la colpa sembra interamente attribuibile al ministro degli Esteri Luigi Di Maio che, dopo aver acquisito in questi mesi una discreta reputazione internazionale, pare che l’abbia fatta grossa: avrebbe fornito al segretario generale dell’Onu Antonio Guterres il famoso “piano italiano in quattro punti” sulla guerra senza che il governo lo avesse esaminato. Nessuno ne sapeva niente.
Ci risulta da varie fonti che i ministri lo abbiano letto su Repubblica che ne ha dato conto il 18 maggio con grande enfasi. Mario Draghi non ne ha mai parlato, e tantomeno il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, a riprova che non se n’è mai discusso nemmeno informalmente nel Consiglio dei ministri, malgrado Repubblica avesse scritto che il documento della Farnesina fosse stato redatto «in stretto collegamento con palazzo Chigi». Ma se così fosse, allora come mai il premier non lo ha esplicitamente rivendicato neppure nell’informativa al Parlamento del 19 maggio, il giorno successivo alla pubblicazione? Da parte sua è probabile che Guterres lo abbia appunto recepito come un “contributo” non ufficiale, ma anche questa non è una prassi normale: all’Onu si inviano testi ufficiali. Invece si trattava di una bozza, un’indicazione informale, un testo partorito dagli uffici della Farnesina ma rimasto allo stato embrionale.
Ma allora perché il ministro, senza un mandato, lo ha fatto pervenire a Guterres sapendo bene che sarebbe circolato nelle cancellerie di mezzo mondo? Un’iniziativa personale? Smania di protagonismo? O un equivoco colossale con il presidente del Consiglio? Fatto sta che il silenzio di quest’ultimo è suonato come una presa di distanza dal documento dimaiano o quantomeno come un tacito suggerimento alle diplomazie mondiali di non assumerlo come un testo ufficiale. Nel frattempo era stato tratto in inganno anche Enrico Letta: «L’Italia è in prima fila nello sforzo diplomatico, ha mandato un messaggio molto forte», mentre ieri Matteo Salvini ha ammesso: «Non ne sapevo niente». Un giallo all’italiana. Una frittata internazionale.
Quello che tra l’altro non è chiaro è se a Kiev e Mosca il “piano italiano” avrebbe dovuto farlo pervenire il segretario generale dell’Onu, ma la cosa più probabile è che ci sia stata una sostanziale inerzia diplomatica e che – come ha scritto il Domani – nei fatti il “piano” non sia mai partito.
Un’iniziativa-fantasma. Un episodio che getta un’ombra di credibilità sulla nostra diplomazia ma anche un problema per il governo e personalmente per il ministro. A Mosca devono aver fiutato puzza di bruciato. Il bombardamento del Cremlino contro “il piano italiano” è stato per così dire a due stadi: prima si è fatto capire di non conoscerlo, come se non esistesse; poi Dmitrij Medvedev, una volta appurato che si trattava di una mezza bufala, lo ha demolito come «un flusso di coscienza slegato dalla realtà» e non sappiamo se il riferimento a James Joyce sia stato voluto o meno ma di certo l’espressione è suonata poco meno di un insulto.
Peraltro chi conosce la materia ha colto subito la debolezza del documento intestatosi da Di Maio, che in effetti non entra più di tanto nel merito delle soluzioni soprattutto per quel che riguarda la questione più importante, quella degli accordi relativi alla sovranità sui territori contesi. Con il passare dei giorni lo stesso ministro degli Esteri, uno che è sempre pronto a esibire in ogni modo le sue iniziative, ha via via lasciato correre. Ma allora questo “piano italiano” com’è finito a Repubblica? Il quotidiano nell’articolo citava tra virgolette queste parole di Di Maio: «Bisogna farsi trovare pronti con dei piani per il dopo-guerra». Ecco, magari piani seri e non scritti sull’acqua.